Trent’anni fa, uno sfrontato manipolo di combattivi e stilosi musicisti gallesi dava alle stampe il proprio disco di debutto. Come i loro idoli Guns N Roses, proclamarono di aver dato tutto ciò che avevano per realizzarlo, senza pensare se ci sarebbe stato un futuro o se la loro carriera fosse destinata a nascere e morire così. Come gli altri loro idoli Clash, però, continuarono eccome, presero tante strade musicali diverse e lasciarono un segno indelebile grazie alla loro indiscutibile personalità  e al loro modo di smascherare le tante contraddizioni e ipocrisie del mondo in cui vivevano.

Ma quest’ultima è un’altra storia, mentre, se ci vogliamo concentrare solo su questo disco, è giusto porre unicamente l’accento sul qui e ora di cui esso è permeato. Tanti elementi rendono indubbio il fatto che il quartetto non avesse minimamente pensato a quale vita ci potesse essere per loro dopo questo esordio: l’alto numero di canzoni (ben 18), il fatto che. In realtà , due di queste erano la stessa canzone con due arrangiamenti diversi, tanto, perchè dover scegliere, visto che potrebbe finire qui, pubblichiamole entrambe e chi se ne importa; l’impianto quasi esclusivamente chitarristico (il quasi è riferito a uno dei due arrangiamenti della stessa canzone di cui sopra) in barba al successo che stavano avendo all’epoca dischi che, invece, puntavano sulla contaminazione tra diversi generi; l’attitudine sfrontata, in barba all’altro tipo di dischi di successo dell’epoca, ovvero quelli legati al filone grunge, che proponevano un modo di porsi disilluso e miserabilista; i testi provocatori e che se davano chiaramente a intendere che se eri d’accordo oppure no, alla band non interessava nulla; la scelta di duettare non con una cantante professionista, ma con la controversa pornodiva Traci Lords.

Però attenzione, perchè tutte queste scelte non sono certo fini a se stesse e non servono solo per mettere in chiaro la mentalità  che sta dietro a questo disco. Queste scelte, infatti, si sono rivelate eccellenti proprio dal punto di vista del gusto musicale e, oseremmo dire, anche letterario. Questo, infatti, è uno di quei dischi che permette sia di essere ascoltato senza far caso alle parole, che di essere letto senza che ci sia la musica. Nel primo caso, è molto facile lasciarsi andare a un senso non tanto di rabbia, ma semmai di rivalsa, di convinzione che, nonostante le tante difficoltà , è possibile andare avanti e sistemare le cose, e nel secondo, c’è una lucida presa di coscienza capace di generare sensazioni forti, tra rabbia e sconforto. Se poi si fa caso a entrambi gli aspetti, le sensazioni date dalla parte musicale vengono messe meglio a fuoco da quelle dei testi e, al contrario, ciò che viene detto è un po’ alleggerito da ciò che viene suonato.

Di solito, si parla di maturità  per le band che riescono a mettere insieme così bene musica e testi, ma per questo disco è ancora presto, e non solo perchè si tratta di un debutto, ma anche, e soprattutto, perchè c’è un tiro complessivo troppo trascinante e spontaneo. “Generation Terrorists” non è un disco maturo, ma è semplicemente un’alchimia perfetta tra cosa pensava un gruppo di giovani con una coscienza politica e sociale ben sviluppata e la loro voglia di mettere questi pensieri in una prospettiva propositiva. Il talento, l’ispirazione e le dinamiche interne alla band hanno fatto sì che tutti i pezzi si siano incastrati nel miglior modo possibile e che trent’anni dopo queste canzoni suonino più fresche e attuali che mai.

Le perfette interpretazioni vocali di James Dean Bradfield e anche quella iconica della stessa Traci Lords, la cascata di melodie chitarristiche impeccabili dello stesso Bradfield, i ritmi incalzanti confezionati dalla perfetta interazione tra Nicky Wire al basso e Sean Moore alla batteria e la combinazione tra spontaneità  e altezza di linguaggio dei testi dello stesso Wire e dell’altro chitarrista Richey Edwards, splendidamente adattati allo scheletro delle canzoni da Bradfield e Moore sono tutte parti di un puzzle impeccabile e che non fa mai passare la voglia di ammirarlo. Come detto, fu solo l’inizio di una lunga carriera, spesso difficile ma altrettanto spesso ricca di soddisfazioni, e questo dico è solo uno dei molti aspetti dell’ampio repertorio dei Manics, ma certamente presentarsi così ha permesso ai quattro, poi diventati tre, di partire col piede giusto, cosa sempre importante. Celebriamo, quindi, più che volentieri un lavoro che ha lasciato il segno, un po’ come nelle intenzioni di chi l’ha realizzato e un po’ no, ma sempre in maniera importante.

Data di Pubblicazione: 10 febbraio 1992
Registrato: Luglio”“Dicembre 1991
Studio: Black Barn Studios, Londra, UK
Lunghezza: 73:11
Label: Columbia
Produttore: Steve Brown, The Bomb Squad (track 8)

Tracklist
1. Slash ‘n’ Burn
2. Nat West”“Barclays”“Midlands”“Lloyds
3. Born to End
4. Motorcycle Emptiness
5. You Love Us
6. Love’s Sweet Exile
7. Little Baby Nothing
8. Repeat (Stars and Stripes)
9. Tennessee
10. Another Invented Disease
11. Stay Beautiful
12. So Dead
13. Repeat (UK)
14. Spectators of Suicide
15. Damn Dog
16. Crucifix Kiss
17. Methadone Pretty
18. Condemned to Rock ‘n’ Roll