Continua l’evoluzione melodica della cantautrice gallese, giunta al consolidamento della sua trama artistica con l’ennesimo tentativo riuscito di coniugare un linguaggio estetico pregnante all’art-pop elegante, una scrittura colta con una forma canzone minimale composta da architetture esili fra synth, parallelismi fra chitarre striate e dolci partiture al piano,   accenni di un languore glaciale anni 80,   con nove canzoni che provano a riflettere in modo al solito incisivamente astratto sullo stato della nostra umanità .

“Pompeii” cerca di infondere il senso ambivalente della nostra esistenza odierna afferendo alla catastrofe vesuviana della colata pandemica ma allo stesso tempo raffigurando la perenne e resistente bellezza della nostra condizione, fatta di sentimenti e pulsazioni come se tutto quello che ci appartiene fosse congelato, imbalsamato ma vitale dentro le ragnatele vincolanti di questo periodo bloccato, che altera la condizione del tempo ma che ci permette di conservarci, magari deturpati come insinua la bellissima copertina, di una vivida astrattezza, con   i nostri limiti e le nostre virtù, in uno spazio dove avere il tempo, forse infinito, di crogiolarci nel languore delle nostre possibilità .

Che sono le sensazioni poi esclusive che i brani di quest’album suscitano, dove la voce di Cate Le Bon trova il suo perfetto adagiarsi tra brani di una raffinatezza e perfezione dei suoni che riecheggiano i migliori Roxy Music dell’epoca post Eno, (“Running away”, “Remembering me”, “Cry me old trouble”), esempi di easy listening irresistibili (“Harbour”), qualche accenno barocco dei tempi che furono (“Dirt on the bed”).

In generale, è l’approccio che convince, una personalissima visione di ispirazione raramente così poetica fra sconforto e consapevolezza ( “I quit the earth/I’m out of my mind/And the fruit of it all/Moderation/I can’t have it/I don’t want it/I wanna touch it”), in una scrittura ancora così enigmatica ma densa di suggestioni, di un livello superiore di comprensione che va di pari passo con la ricerca di suoni raffinati, senza orpelli ma mai banali, come se la musica accompagnasse il senso della ricerca di profondità  di Cate con questo pop adulto, spiazzante e per questo motivo convincente, che porta “Pompeii” ad essere materia di plurimi ascolti, senza che questi portino alla definitiva scoperta della sua bellezza.

Anche perchè all’interno del mistero di questi brani, nati tutti dal cilindro della Le Bon e quasi tutti interamente da lei suonati, ci sono anche le riflessioni più amare e sincere della cantautrice, che si spoglia definitivamente della sua vulnerabilità  ( “All my life in sentiment/All my language is vulgar and true/I’ve pushed love through the hourglass/Did you see me putting pain in a stone?”), spingendosi a indagare sulle conseguenze di amori sbagliati, nella splendida ballata finale “Wheel” che con un gusto e traino simile all’ultima  The Weather Station, ci rovescia tutto il suo carico malinconico con la risolutezza di chi ha evidentemente patito e sofferto più di quanto si è disposti a ricevere (“I do not think that you love yourself/I’d take you back to school/And teach you right/How to want a life/But, it takes morе time than you’d tender/Ovеr me”).

Un album intriso d’amore, perfettamente a suo agio con quello che questo sentimento esprime oggi in una contemporaneità  alterata.

Photo: H. Hawkline