E’ sempre un piacere ritrovare i Clever Square. La band in questa sua “seconda vita” si sta dimostrando perfettamente a fuoco e sempre più raffinata. “Secret Alliance” esce oggi, 29 aprile e si muove morbido e sinuoso, richiamando quell’indie americano che ha sempre offerto molti spunti alla band, ma facendolo con personalità  e gusto melodico intatto. Il disco così si fa apprezzare per spigoli arrotondati e melodie che entrano sempre in circolo con facilità , anche in un lavoro che accende i propri rifletori sui sentimenti di frustrazione, disillusione e disconnessione. Non potevamo non soffermarci con Giacomo D’Attorre, frontman dei Clever Square, per fare due chiacchiere…

Ciao ragazzi, come state? Disco appena uscito, estate alle porte… si prospettano bei tempi per i Clever Square?
Stiamo bene, quando deve uscire qualcosa si mischiano sempre tante emozioni contrastanti, ma in poche parole siamo felici di condividere con tutti questo disco su cui abbiamo lavorato tanto, ha bisogno di uscire.

I Clever Square hanno alle spalle un lungo percorso iniziato addirittura nel 2005, ve lo sareste immaginato che nel 2022 saremmo stati ancora qui a parlare di voi?
I Clever Square sono nati nel 2005 e hanno visto diversi cambi di formazione nei loro 17 anni di vita. In realtà  non me lo sono mai chiesto, ma se l’avessi fatto forse no, non me lo sarei immaginato.

Il disco omonimo precedente ha segnato un nuovo inizio per la band, mi sembra che con questo album si sia voluto segnare una continuità , se non altro negli interpreti (vedo, ad esempio, che c’è ancora Marco Giudici, che tanto era servito nell’indirizzare il sound del disco precedente), ma anche una differenziazione, con suoni ancora più arrotondati e ancora più cura alle melodie. Che ne pensate?
In questo senso l’ingresso di Francesco Lima nei Clever Square ha rivoluzionato il nostro modo di lavorare, perchè dal 2018 abbiamo iniziato ad arrangiare i pezzi “in casa” prima di portarli in sala prove, mentre prima suonavamo tutto subito “live”, in quattro. Il nostro album omonimo si colloca a metà  strada tra queste due impostazioni, nel senso che comunque buona parte di esso è il frutto del lavoro fatto in sala prove, con una serie di ritocchi ragionati più “a freddo” in un secondo momento. Con “Secret Alliance” abbiamo deciso di partire da zero su ogni pezzo, per cui tutto l’arrangiamento è stato preparato nel nostro studio, aggiungendo alla demo voce e chitarra tutti gli altri strumenti, un po’ alla volta. è banale, ma non l’avevamo mai fatto prima.

Alcune melodie sono così morbide e solari che si potrebbe immaginare un disco dai toni rilassanti e leggeri, invece, in realtà , il disco parla di sconforto, disillusione e quella brutta sensazione di sentirsi fuori posto. C’è una bella dicotomia da questo punto di vista”…
I toni rilassanti li abbiamo cercati, sulla leggerezza non so, credo ce ne sia poca, perchè appunto in questi brani trattiamo di temi che di solare hanno poco. Credo che questa dicotomia sia sempre stata presente nella nostra musica, qui emerge più che mai, perchè è un disco che abbiamo vissuto molto intensamente in tutti i suoi passaggi, è stata una gestazione piuttosto lenta – a volte forse un po’ troppo.

Mi chiedo spesso se realizzare un disco partendo da certi spunti o presupposti possa avere una valenza terapeutica, una specie di seduta dallo psicologo per l’autore. E’ questo il caso? Forse così la vera bravura sta anche nel non far sentire anche l’ascoltatore in analisi senza però nascondergli nulla in termini di preoccupazioni, o sbaglio?
Quando abbiamo iniziato a lavorare su questo album non avevamo ancora un’idea precisa di cosa sarebbe venuto fuori alla fine, non siamo partiti dicendoci “ok, vogliamo fare un disco che parli di questo e quest’altro“. Ci siamo messi a lavorare su una serie di pezzi, ne abbiamo scartati alcuni e inseriti altri, abbiamo stravolto alcuni arrangiamenti rispetto alle idee iniziali e ci siamo lasciati guidare dalle canzoni; solo dopo averne chiuse tre o quattro abbiamo cominciato a capire cosa stessimo cercando. Le tematiche, come si diceva prima, sono quelle dello sconforto ma anche della disillusione di vivere in un mondo che è complicato e che percepiamo come sempre più lontano da noi: credo siano in tanti a sentirsi così, per cui non si tratta di fare nessuna analisi, ma di cercare di confrontarsi con questa consapevolezza e magari scoprire di condividere un disagio, elaborarlo e affrontarlo meglio.

Ho letto che “Mr. & Mrs. K”; è addirittura ispirata a Bradbury. Un tuffo nello sci-fi. Che cosa state leggendo ultimamente che si sposa con le tematiche del disco o, al contrario, serve come antidoto a certe sensazioni?
Considera che a me quel libro di Bradbury non è neanche piaciuto, l’ho abbandonato molto presto; però le scene iniziali hanno dato vita a delle immagini nella mia testa che mi hanno fatto venire voglia di scriverci su; c’è qualcosa di intimo e di ingenuo in quelle prime pagine che mi ha affascinato. Sul testo di questo pezzo ero un po’ in difficoltà , perchè era l’unico che non mi convinceva (era completamente diverso da come è ora), quindi l’ho riscritto da capo partendo da quello spunto. Dopo aver rimuginato su pensieri molto “umani” per tutto il disco mi piaceva l’idea di chiudere cambiando prospettiva e parlare di una coppia di marziani. Tra le cose che ho letto ultimamente ce ne sono alcune che hanno a che fare col ricordo e la memoria e con la vita di tutti i giorni che più di altre trovo in qualche modo tangenti ai temi di questo disco: “Border Districts” di Gerald Murnane e “Pond” di Claire Louise Bennett. Sia quello della rielaborazione del ricordo e della riflessione su di esso, sia quello della vita privata e solitaria, con i suoi piaceri ma anche la sua crudezza, sono temi che mi interessano molto in questo
momento.

Adoro “Golden Wires”, in questo pezzo a mio avviso siete riusciti a fondere una scuola indie made in USA con un tocco british di una band (temo dimenticata dai più) come gli Animals That Swim. Com’è nata questa canzone?
“Golden Wires” è uno dei primi pezzi che abbiamo creato per “Secret Alliance”, quando stavamo ancora prendendo le misure con quello che stava venendo fuori, infatti è tra i meno sussurrati (è arrivato assieme a “Sham in the Academic Career”, che in un certo senso è altrettanto fragoroso); fa parte di un gruppetto di canzoni che ho scritto usando gli stessi accordi e che volevo rievocassero le atmosfere di “Half Smiles of the Decomposed” dei Guided by Voices. Quindi sì, la “scuola indie made in USA” c’è, mentre gli Animals That Swim non li conosco, dovrò approfondire!

Magnifico l’arrangiamento dei fiati per “Kites From The Noodles Kingdom”, come è nata questa idea di aggiungere un tocco jazz?
Per “Kites From The Noodles Kingdom” volevamo un’atmosfera notturna e nebbiosa, l’idea di coinvolgere Jacopo Finelli (Leatherette) al sax è arrivata alla fine, dettata dalla necessità  di aggiungere un po’ più di sostanza e carnalità  al riff, per farlo ondeggiare meglio.

“Night Of The Sparkling Charm” è favolosa, ci fa salire, con il ritmo, nell’attesa che arrivi l’esplosione e invece magnificamente riprende il cerchio e quella morbida melodia che è la più bella del disco. Adoro questa costruzione molto alla Mike Kinsella”…
Non ho mai pensato a Mike Kinsella nella costruzione di “Night Of The Sparkling Charm”, per cui è interessante che tu lo stia tirando fuori! Questo pezzo, più di altri, risente del lavoro sugli arrangiamenti fatto da Francesco, nel senso che è tra i più stravolti rispetto alla demo iniziale. Si tratta anche del primo pezzo a cui abbiamo lavorato nel nostro nuovo, piccolo, studio. In qualche modo credo che il suo stravolgimento abbia risentito di queste transizioni così importanti, era un nuovo anno, un nuovo rifugio, una nuova atmosfera. Nella mia testa, come “Golden Wires”, doveva essere vicina alle atmosfere meno spensierate di “Half Smiles of the Decomposed”, ma in realtà  poi ha preso tutt’altra direzione e ha cambiato completamente forma; dell’idea iniziale è rimasto solo il bridge che si apre con “But you’re staring at the signs, clear”…

Mi piace tantissimo l’andamento “spartano” di alcuni brani, “Hail The Proper Karl” o “Soccer Rules” tanto per fare due nomi, che si basano su elementi musicali molto misurati, però poi non disdegnate nemmeno di alzare il volume e piazzare un po’ di distorsioni nel finale di “Sham In The Academic Career”, l’elettrico “sporco” ha sempre il suo fascino, no?
Abbiamo scelto di controllarci molto su distorsioni e overdrive, volevamo un disco sussurrato, con suoni molto educati anche qualora fossero “sporchi”. Di fatto “Sham In The Academic Career” è l’unico pezzo in cui abbiamo scelto di alzare il volume e lasciarci andare un po’ di più. “Soccer Rules” è forse il pezzo che ci ha richiesto più sforzi in termini di tempo ed energie, ci abbiamo messo un bel po’ a trovare la quadra. Invece “Hail the Proper Karl”, che è l’ultimo che abbiamo inserito nell’album, ha avuto una gestazione più breve, probabilmente perchè ormai avevamo le idee molto più chiare su tutto.

Com’è nata la collaborazione con Eugenia Fera degli Eugenia Post Meridiem?
Abbiamo conosciuto gli Eugenia Post Meridiem nel 2019 dopo aver suonato live assieme in diverse occasioni. Loro sono bravissimi e Eugenia ha una voce particolarmente espressiva e molto colorata, ci sembrava perfetta per il duetto in “Soccer Rules”: la sua parte si discosta un po’ dal tipo di linee melodiche che è solita cantare nei suoi pezzi, se vuoi è molto meno articolata e sinuosa, e credo sia interessante sentirla fare qualcosa di un po’ insolito.

Giacomo tutto fare: non solo firma tutti i brani ma anche la copertina, davvero suggestiva. A volte penso che momenti così evocativi come quello rappresentato facciamo sempre più fatica non solo ad averli ma anche a goderne se ci capita di assaporarli”…
La versione originale aveva il cielo rosa, ma poi ho pensato che avrei preferito avvicinare tutto alla normalità  e lasciare che l’unica cosa straniante fossero le dimensioni dell’orso. Mi piace l’idea che il suo essere così sproporzionato non salti immediatamente all’occhio, perchè in questa immagine per me è tutto così calmo e pacifico che sembra non esserci nulla di anomalo. Ho voluto creare un’atmosfera che fosse più placida possibile, in un certo senso bucolica, qualcosa a cui aspirare.

L’ultimo pensiero va a quel mondo sempre più rumoroso e vorticoso che abbiamo intorno. Sepulveda, nella sua favola “Storia di una lumaca che scoprì l’importanza della lentezza” ci invita a riflettere a come conformarsi a certi ritmi sia solo che negativo. Può essere anche il disco dei Clever Square una degna colonna sonora a simile pensiero?
Sì, senza dubbio, l’idea è più o meno questa. Di fronte ai ritmi attualmente imposti e a tanto rumore, negli ultimi tempi ho sentito sempre di più il bisogno di tirarmene fuori e non interessarmi più di tante cose. è una questione di salute mentale, c’è troppo inquinamento e c’è un po’ troppo di tutto, tante informazioni di cui si può fare a meno, tanti modi di comunicare che non mi appartengono e non mi interessano. Credo che chi fa musica (ma anche chi scrive, chi getta qualcosa nel mondo in qualsiasi forma) debba sempre confrontarsi col contesto in cui vive,
qualunque sia il momento in cui opera, dopodichè ognuno farà  le sue scelte.

Foto di Marcella Magalotti