Questa volta i fan saranno felici: solo tre anni di attesa per un nuovo album dei Rammstein. Dopo il decennio trascorso tra “Liebe Ist Fà¼r Alle Da” e il senza titolo del 2019, ci eravamo abituati all’idea di uscite sempre più diradate nel tempo per la band tedesca. E invece eccola qui la lieta sorpresa: undici tracce, scritte e registrate nell’infausto ma produttivo lockdown dell’inverno a cavallo tra il 2020 e il 2021, pronte per essere proposte al pubblico in una lunga tournèe mondiale che sa tanto di ripartenza. Nella speranza che, tra le innumerevoli sciagure che continuano ad affliggere il mondo, non vi siano ulteriori blocchi alle attività  live.

Anche perchè i sei membri dei Rammstein, ormai quasi tutti sulla sessantina, altre pause non se le possono proprio concedere. Il tempo (Zeit in tedesco) sarà  pure un concetto relativo ma, oltre a dare il nome al disco di cui stiamo parlando, non guarda in faccia a niente e nessuno. Nella maestosa title track un malinconico Till Lindemann, afflitto dalla tristezza, lo implora affinchè si fermi; il suo desiderio di congelare il momento perfetto, però, è evanescente come la vita che ci scivola via tra le mani.

I Rammstein sono perfettamente consapevoli del fatto che le pagine migliori della loro carriera sono già  in archivio ma, imperterriti e inflessibili, continuano il loro fortunato viaggio, forti di uno stile che non è stato scalfito dal passare degli anni. E allora diciamolo chiaro e tondo: “Zeit”, musicalmente parlando, è quasi identico al suo non brillantissimo (per me, almeno”…) predecessore.

Melodie e ritornelli dal gusto radio-friendly addolciscono gli “spigoli” della Neue Deutsche Härte e, più in generale, la pesantezza tipica di un industrial metal che oramai è poco più di un guscio; un’armatura robusta ma consunta costruita sulle chitarre ruggenti ma sintetiche e sui riff muscolari di Richard Kruspe e Paul Landers.

Nonostante la pressochè totale assenza di sostanziali novità , l’album viaggia su livelli più alti rispetto a quanto ascoltato recentemente. Non vi sono pericolosi cali di tensione e i Rammstein, seppur non eccessivamente ispirati, portano a casa il risultato con undici brani coinvolgenti e variegati.

Ce n’è per tutti i palati: si passa dalle reminiscenze “’80s di “Armee der Tristen” alle tastiere sontuose che caratterizzano “Schwarz” e “Meine Tränen”, due tra i brani più epici della raccolta, intrisi di quelle belle gelide atmosfere mitteleuropee alla base anche di “Adieu”, della già  citata title track e di “Là¼gen”, una canzone molto interessante che scorre via piacevolmente tra la raffinatezza melodica del ritornello, il palm-muting feroce delle chitarre e il vocione baritonale di un Till Lindemann ossessionato dall’autotune.

Alla lista si aggiungono i consueti numeri tanz metal tipicamente rammsteiniani, ancora incisivi ma non più irresistibilmente cafoni come in passato: “Giftig”, “Zick Zack” e la cattivissima “Angst” regaleranno momenti di gioia agli spettatori degli incendiari live della band tedesca, mentre le parodie macho di “OK” (acronimo per Ohne Kondom, ovvero senza condom) e “Dicke Titten” (Tette grandi nella traduzione italiana) faranno sorridere i più sporcaccioni.

Chiuderò la recensione con un giudizio rapido e banale: un album ben strutturato e convincente col quale i Rammstein ritornano definitivamente in pista. Nulla di indimenticabile, ma questo “Zeit” sicuramente merita un ascolto attento e approfondito. Nota a margine: molto bella la fotografia in copertina scattata nientepopodimeno che da Bryan Adams.

Photo credit: Bryan Adams