è forse la prima, vera serata di tarda primavera napoletana, in cui i profumi si mischiano e la luce, testarda, proprio non vuole cedere alla notte che arriva. Mi arrampico su per i Quartieri Spagnoli, schivando i tavolini dell’ennesimo baretto spuntato per vendere spritz a pochi euro, e arrivo alla Sala Assoli.

Una volta dentro, prendo posto nelle ultime file e non posso impedirmi di pensare che da lassù la location sembra un piccolo ed intimo guscio, il cui unico ruolo pare essere quello di accogliere l’arpa della artista: uno strumento maestoso, che troneggia, lucido e imponente, sul palco illuminato.

La musicista fa capolino sul palco discretamente, oserei dire quasi timidamente. Si prende un paio di minuti per accordare il magnifico strumento, poi ringrazia il pubblico e subito attacca col primo brano: “The Warm Shoulder”. Corda dopo corda, Lattimore fa scivolare l’intera sala in uno stato magicamente sospeso. Sento che la mia mente inizia a vagare e avverto che tanti altri, come me, abbracciano questa deriva. Sottrarsi è impossibile, volerlo fare è impensabile.

La musica si affievolisce, Mary prende finalmente la parola e ci annuncia, seria, che l’intero concerto a cui assisteremo è ufficialmente alimentato dall’ottima pizza mangiata solo una mezz’ora prima di esibirsi. Poi ci presenta il brano successivo, “For Scott Kelly, Returned to Earth”, raccontandoci di quanto un giorno, all’improvviso, riflettendoci, le sia apparsa assurda l’idea che un astronauta che fino ad una settimana prima orbitava nello spazio, potesse, una volta ritornato sulla Terra, andare a fare la spesa, dare da mangiare al gatto o anche accompagnare i figli a scuola. Tornare alla banale routine quotidiana, quando si è stati a volteggiare nello spazio, è assurdo, ha pensato, ed è così che è nato il brano. In una calma paziente, Lattimore intreccia note confortanti, che provano ad abbracciare lo spazio siderale, estendendosi all’infinito ed avvolgendo la platea. Alla fine dell’esecuzione, nessuno fatica a credere che la canzone sia molto piaciuta alla sua musa, Scott Kelly, che si è visto recapitare il pezzo niente di meno che dalla NASA, alla quale Mary, a sua volta, aveva ben pensato d’inviare il brano.

Fin dal primo istante, invece, “On the Day You Saw the Dead Whale” risucchia l’intera Sala Assoli in una bolla, trasportandola sul fondo dell’oceano, in un misto di oscurità  misteriosa e solennità  da contemplare ad occhi chiusi.

Segue “We Wave From Our Boats”, forse uno dei brani migliori della serata, di sicuro il più breve. Una lama nel cuore, uno spaccato, apparentemente superficiale, della condizione umana. Un racconto di sconosciuti e di mani che si scambiano cenni di saluto da una barca all’altra. Così, stupidamente, insensatamente forse. Un inno alla banale magnificenza umana.

“Silver Ladders”, che dà  anche il titolo all’omonimo album pubblicato nel 2020 per l’etichetta Ghostly International, è un flash di suoni e bagliori che si arrampicano fino al soffitto. La perfetta evocazione musicale di una scalinata che si getta nel mare cristallino della Croazia, come Lattimore stessa ci precisa, raccontandoci del suo indimenticabile viaggio che è stato terreno fertile per il concept del disco.

Mary annuncia l’ultimo brano: “It Feels Like Floating”. Quasi dodici minuti che alternano dolcezze a distorsioni, vette irraggiungibili ad abissi sconosciuti, tessendo storie infinite con la sola punta delle dita.

L’artista ringrazia pacatamente e si ritira dietro le quinte. Non passa molto tempo prima che gli applausi facciano il loro dovere, ritrascinandola sul palco. “Otis Walks Into the Woods”, ispirato dalle passeggiate nel bosco col cane di famiglia, è il brano prescelto per il bis. Ipnotico e molle nella parte iniziale, la canzone ci sorprende a metà  della sua esecuzione, svelandoci un lato inaspettato e metallico. Una insolita deviazione, che ci porta ad esplorare sentieri inaspettati durante la più ordinaria delle promenades.

Le luci si riaccendono e una musica di sottofondo ci riaccompagna verso la mite aria serale di un insolito lunedì.

Grazie Mary Lattimore per aver accompagnato deliziosamente il calar delle tenebre e per aver reso il giorno peggiore del calendario così leggero e pieno di bellezza. Che gran regalo, tutte le settimane dovrebbero iniziare così.