Esattamente quindici anni fa, i Queens Of The Stone Age chiudevano il loro contratto con una major del calibro della Interscope con quello che, a oggi, resta il loro album più ostico, sperimentale e incompreso: “Era Vulgaris”, una dissacrazione dell’hard rock stravolto da mutazioni e contaminazioni. Un disco sì innovativo, ma anche controverso e dimenticato in fretta, nonostante l’effimero successo nelle charts (entra in Top 10 in buona parte dei paesi europei) e la presenza di un singolo alquanto fortunato – “Make It Wit Chu”, una canzone già  nota agli ascoltatori nella versione più “ruspante” inclusa nelle Desert Sessions del 2003.

Schiacciato dall’ombra pesante di lavori più noti e apprezzati dal grande pubblico (i precedenti “Songs For The Deaf” e “Lullabies To Paralyze” e il successivo “…Like Clockwork”), “Era Vulgaris” sembra ormai essere caduto nell’oblio. La sua natura “aliena” e il totale distacco da tutto ciò che può essere considerato mainstream nel rock non hanno aiutato a preservarlo nel tempo.

Il che è un vero peccato, perchè questo lavoro rappresenta in tutto e per tutto la quintessenza dei Queens Of The Stone Age delle origini, figli di un’abile commistione di contrapposizioni: stravaganti nella forma ma accessibili nella sostanza; genuini nella scelta degli strumenti ma “artificiali” nella loro resa sonora, sempre stravolta dall’effettistica e da centinaia di altre diavolerie per quanto riguarda registrazione e missaggio; forse un filo reazionari, poichè molto legati alla tradizione del miglior rock americano (nelle sue molteplici forme, dal blues fino al punk), ma anche fortemente rivoluzionari, refrattari alle imposizioni delle case discografiche e alla costante ricerca di un sound personale.

Nella testa del giovane Josh Homme post-Kyuss c’era il sogno di dar vita a un suono capace di imitare il fragore di “robot rotti e ubriachi”, come da lui stesso ammesso in un’intervista di una decina di anni fa al Guardian. Le undici tracce di “Era Vulgaris”, a modo loro, rappresentano il compimento più equilibrato e sensato di questa assurda idea. La melodia è sempre e costantemente al centro del quadro, ma gli elementi di contorno sono così stonati e disturbanti da proiettare l’ascoltatore in una dimensione in cui tutto sembra al posto giusto ma in realtà  non lo è affatto.

I Queens Of The Stone Age giocano in gran libertà  con le strutture, i tempi e ritmi dei brani per dar forma a un universo stoner dal gusto “fantascientifico” (tanto per tornare a collegarci al tema dei robot) e abrasivo, dominato da saturazioni e dissonanze capaci di darci l’impressione di essere al cospetto di un’opera pronta a deragliare da un momento all’altro.

Un piccolo ma dimenticatissimo miracolo: in “Era Vulgaris” non c’è ombra di normalità  ma tutto gira alla perfezione. A partire dalla traccia posta in apertura, l’inquietante e ipnotica “Turnin’ On The Screw”, e da quella immediatamente successiva, ovvero “Sick, Sick, Sick” (che è anche il primo singolo estratto), dove troviamo dei riff di chitarra malatissimi e la voce di Julian Casablancas sul ritornello.

Si vola in alto anche con le ruvide ma stranamente catchy “I’m Designer”, “Misfit Love”, “Battery Acid” e “3’s & 7’s”: gli incastri ritmici estremamente contorti non riescono in alcun modo a spazzar via l’aura sexy, particolarmente in primo piano nei refrain, emanata da queste quattro canzoni.

Robotici, incisivi e incendiari: i Queens Of The Stone Age di “Era Vulgaris”, lontani anni luce dalla maturità  e dallo spirito quasi compassato del celebratissimo “…Like Clockwork”, se ne sbattono altamente delle regole, provano a stupirci con una miriade di effetti speciali ma colpiscono davvero forte solo negli episodi più rumorosi e dirompenti.

Proprio per questo motivo considero un po’ fuori contesto le sfumature elegantemente soft di “Into The Hollow”, “Suture Up Your Future”, “River In The Road” e della già  citata “Make It Wit Chu”: tutti bei pezzi, per carità , ma forse un po’ troppo poco “volgari” in un disco che vuole essere di assoluta e totale rottura. Uno strappo col passato (e, oggi possiamo dirlo con certezza, anche col futuro) che conquista con il suono pesante e tortuoso della cattivissima “Run, Pig, Run” e di due bonus track che, a mio modesto parere, sono da includere tra gli apici artistici dei Queens Of The Stone Age della prima ora: “The Fun Machine Took A Shit & Died” ed “Era Vulgaris” (con Trent Reznor dei Nine Inch Nails a fare da superospite).

Data di pubblicazione: 12 giugno 2007
Tracce: 11
Lunghezza: 47:53
Etichetta: Interscope / Rekords Rekords
Produttori: Chris Goss, Josh Homme

Tracklist:
1. Turnin’ On The Screw
2. Sick, Sick, Sick
3. I’m Designer
4. Into The Hollow
5. Misfit Love
6. Battery Acid
7. Make It Wit Chu
8. 3’s & 7’s
9. Suture Up Your Future
10. River In The Road
11. Run, Pig, Run