Non potevamo non parlare di questo disco uscito a sorpresa un paio di mesi fa e disponibile esclusivamente in “forma liquida”, composto da undici pezzi siglati da pezzi da novanta della scena grunge, quella potente, degli anni ’90, e mixato dal produttore di “Bleach” dei Nirvana, Jack Endino.

Loro sono i 3rd Secret e di fatto rappresentano una superband formata dall’ex bassista dei Nirvana, Krist Novoselic, dal batterista dei Pearl Jam e Soundgarden, Matt Cameron, dal chitarrista dei Soundgarden, Kim Tahyil, dal chitarrista della band hardcore punk degli anni ’80 Void, Jon “Bubba” Dupree e dalle cantanti Jillian Raye (penna di tutti i testi) e Jennifer Johnson, entrambe insieme a Novoselic nei Giants in the Trees.

Ecco, con una line-up di simile fattura ci si aspetterebbe un trionfo di riff supersonici e poderose batterie che si fanno strada tra urla degne di un pre-stage diving! Beh, le cose in realtà  non stanno affatto così, perchè ci troviamo davanti a una pletora di accordi acustici che accompagnano la maggior parte del full-length.

Poco grunge, dunque, nei quasi cinquanta minuti del disco dove si alternano ballate classic rock (“Last Day of August”, “Somewhere in Time”), arpeggi alternative-folk (“Rhythm of the Ride”, “Winter Solstice”, “Right Stuff”, “Dead Sea”) e timidi approcci southern-country (“Live Without You”, “Diamond in the Cold”), il tutto curato con dovizia e mestiere. E altrimenti non poteva essere, considerata la compagine. In effetti, l’album scorre sicuro all’insegna del leitmotiv appena tracciato senza tuttavia brillare nei vari episodi mancando, tra le altre cose, un vero e proprio inno che faccia gridare al capolavoro.

Per trovare un po’ di verve, un po’ di energia sprigionata dalle note chitarre di Kim Tahyil, bisogna recarsi dalle parti dell’ottimo singolo “I Choose Me” o nei successivi assoli di “Lies Fade Away”, la migliore dell’album a mio avviso, che però rimangono isolate gemme a luccicare in un contesto fin troppo “normale”.

Non siamo davanti ad un disco noioso, anzi, i brani si fanno apprezzare perchè ben suonati e arrangiati superbamente ma ci saremmo aspettati sonorità  più vigorose, più interessanti come quelle iniziate con la conclusiva “The Yellow Dress”, che nei suoi sette minuti racchiude una mood vario e avvolgente.

Che dire, bel disco ma dal classico sapore di “occasione mancata”. Almeno per il momento.