di Davide Briani

Il folletto losangelino Beck Hansen era atteso da ben 17 anni in Italia, una “‘vita’ musicalmente parlando e non solo. L’ultima data italiana era stata infatti nel 2005 col tour di “Guero”, ma non ero riuscito a vederlo confidando in un ritorno a breve e invece per diversi tour nessun suo concerto si è tenuto nel belpaese. Quando è uscita la data di Gardone (BS) per il festival Tener-a-mente ho preso subito i biglietti per non ripetere l’errore, poi c’ha pensato il covid a prolungare l’attesa, ma per fortuna quello del Vittoriale è stato l’unico concerto confermato in Italia di quelli previsti nel 2020 e finalmente riesco nell’impresa di vedere dal vivo uno dei musicisti più eclettici degli ultimi decenni.

Il termine “‘eclettico’ è spesso abusato, ma non è il caso di Beck, musicista dalle mille anime, impossibile da classificare, autore di inni generazionali “‘electro-post-grunge’ come “Loser”, ma che ha saputo alternare album più dinamici e pieni di sonorità  eterogenee ad altri introspettivi, folk, impossibile da classificare, ma è difficile anche solamente descrivere a chi non ha seguito il suo lungo percorso artistico iniziato nel lontano 1993.
Per un fan della prima ora era uno dei concerti più attesi della vita, con aspettative alle stelle sia per l’artista che per la location, stupenda, con posti in piedi per godermi appieno il live e potermi muovere liberamente.

Nonostante una (mia) posizione un po’ defilata, il concerto si vede e sente benissimo e Beck, col suo completo bianco vintage, inizia con brani solo voce e chitarra, sound perfetto per la location con il lago di Garda sullo sfondo. Parte con un suo pezzo “The golden age” e poi delle cover, tra cui la bellissima “Everybody’s got to learn sometime” dei Korgis incisa per la colonna sonora di “Eternal sunshine of the spotless mind”, giusto per scaldare la voce. Tutti rapiti e seduti ad ammirarlo, tranne chi, come noi, è in piedi, ma è solo questione di tempo, infatti, finita la prima parte, esce e rientra con tutta la band facendo esplodere l’anima eclettica e tutt’altro che minimalista che tanto aspettavo.

Beck ha talmente tanti brani che decide di condensarli in blocchi passando da strofe e ritornelli senza soluzione di continuità  partendo con “Mixed Business” che diventa “Devils Haircut” e poi di seguito come se fosse un djset “‘suonato’ “Dreams”, “Colors” e “The new pollution”, impossibile stare fermi, chi è in piedi può finalmente ballare, chi è seduto non riesce comunque a stare fermo ed è un continuo richiamo da parte degli addetti alla sicurezza dell’evento in platea e sulle gradinate (che lavoro ingrato). Ma ormai il “‘magic bus’ di Beck è partito, con giusto qualche pausa per rifiatare e testare un nuovo brano in esclusiva chiamato “‘Take it back’. Lui e la sua super band ormai hanno in mano il pubblico alternando ritmiche, strumenti e passando da una hit all’altra con un crescendo continuo e un passaggio anche nelle sonorità  più electro e con influenze sud americane si arriva all’apoteosi con l’attesissima “‘Loser’ con tutta la platea ormai in piedi a ballare quasi sotto il palco. La band è solidissima, tutti rialzati e in riga dietro al frontman, la coppia basso/batteria detta e cambia i ritmi, il chitarrista principale si muove e scende ogni tanto per gli assoli e l’altro polistrumentista alterna chitarra a organo ed entrambi fanno i cori quando servono, ma giustamente è Beck il protagonista del palco, canta col suo consueto tono, non disdegnando però anche il falsetto, e dimostra, alla soglia dei 52 anni, di essere ancora un super ballerino.

Un’incredibile macchina da live ben rodata con formazione standard, ma che ogni tanto ha il supporto anche di basi e suoni preregistrati, come i fiati e alcune parti elettroniche più sperimentali di alcuni brani. “Loser” chiude la prima parte del concerto, con il calare della sera la band esce per una mini pausa e torna sul palco con cambio di outfit per Beck che passa dal total white al total black.

Si riparte con la bellissima “Morning” che crea un’atmosfera magica con il lago di Garda illuminato che dura per diversi brani tutti più tranquilli e soft come “Paper Tiger” e “Lost cause” tratti da “Sea Change”, uno dei suoi dischi più minimalisti e folk.

Ci si avvicina alla fine e per finire col botto parte il riff di chitarra di “E-Pro” e il beat si fa “‘grosso’ fino a diventare quasi hip-hop con “Where it’s at”, singolo tratto dal suo capolavoro “Odelay”, pubblico in delirio, o almeno io lo ero.

La band abbandona il palco, Beck rimane per ringraziare e regala un’ultima canzone “‘lo-fi’ “One foot in the grave” solo voce e armonica a bocca tenendo il tempo con il piede, come nel disco del 1994. Un saluto-omaggio alle origini della musica americana che in questi anni lui è riuscito a prendere, frullare, reinterpretare e contaminare come pochi. Il concerto finisce entro gli orari previsti al Vittoriale, mentre ci si avvia verso l’uscita si sentono e vedono fuochi d’artificio sull’altra sponda del lago, tutto molto bello, ma i veri fuochi d’artificio li han fatti Beck e la sua band, un ritorno memorabile per chi li segue musicalmente da quasi
trent’anni, assolutamente imperdibile, welcome Beck!