Arriva dopo almeno un paio di posticipi per vari motivi, la tanto attesa data di Stephen Bruner aka Thundercat in Italia, circolo Magnolia is the place e un’infuocata domenica di luglio, per quello che verrà  ricordato come l’inizio dell’estate più caldo a memoria d’uomo, tra covid e guerra non ci facciamo mancare nulla.

Prima cosa da sottolineare è che il nostro beniamino è freschissimo della pubblicazione di un nuovo singolo, forse destinato a restare, mi riferisco alla collaborazione che vede il polistrumentista losangelino affiancare i Gorillaz nella folgorante “Cracker Island” che riporta la stessa band di Daman Albarn ai piani alti.

Dicevo polistrumentista eclettico quanto insolito si fa le ossa suonando nei Suicidal Tendencies, alfieri di un certo crossover metal tra anni novanta e anni zero, tuttora in circolazione, poi parte per un percorso tutto suo costellato da collaborazioni clamorose sparse qua e là , da Flying Lotus a Kamasi Washington, ma soprattutto the king Kendrick Lamar con il quale scrive, produce e suona “To pimp a butterfly” per poi ritrovare il miglior rapper in circolazione anche nelle puntate successive, insomma stiamo parlando di un pezzo da novanta e il nutrito pubblico di questa unica data estiva fa pensare che anche per lui sia arrivata una certa e consolidata celebrità .

Praticamente c’è il tutto esaurito sotto il main stage del Magnolia, in tanti fin da prestissimo a sfidare una serata difficile per le condizioni atmosferiche, senza lamentarsi troppo, ma qualche grado in meno avrebbe reso tutto più piacevole.

Arriva al successo con un’esplorazione sonora di tutto rispetto, senza compromessi e dal vivo enfatizza ancora di più l’impronta jazz e fusion, già  presente in studio, dilatando i brani in suite clamorose dove chiaramente lui, bassista per eccellenza, è il padrone di casa incontrastato.

Un’ora e mezza di concerto, dove sperimentazione e avanguardia convivono parallelamente, il falsetto di matrice motown e quel tocco di soul afro americano fanno il resto. Siamo sicuramente di fronte ad un autentico fuoriclasse, piaccia o meno, ma di questo si tratta.

Un audiance trasversale, non solo giovani, ma appassionati di tutte le età , all’interno di un mood sonoro non certo dei più facili, la dimostrazione che quando si fa grande musica, anche le scelte più spigolose portano un certo e assodato risultato.

Dopo un paio di guest che aprono la serata, “Ze in the clouds” sullo stage b e il collettivo milanese Daykoda sul main, un attimo prima di Thundercat, che parte puntuale, come da timeline annunciata, per le 21,30, si fa carico, come detto sopra, di una quindicina di brani più un unico bis, riarrangiati nella dimensione live, allungati e marchiati a fuoco dalla sapiente improvvisazione che lega l’ex Suicidal con i compagni di viaggio, di cui ignoro il nome, ma che meritano una menzione di nota, batterista alla sua sinistra di assoluto livello e un altro musicista, dalla parte opposta, dietro una montagna di tastiere, affiatati e complici di un viaggio che scorre complesso e veloce allo stesso tempo.

“Interstellar Love” fusion spaziale o la punkeggiante “I love Louis Cole” aprono le danze dopo il consueto intro di “Lost in space / Great Scott”, sono tutti brani significativi della carriera già  radicata e approfondita di Thundercat, tra le altre “Heartbreaks + Setbacks” o “A Messagge For Austin”, “love Wolf And Club” o l’osannatissima “Them changes”, l’ultima prima del bis di “Funny Thing”. Ma il fatto di suonare un brano piuttosto che un altro non è così fondamentale all’interno di un set di questo tipo, proprio per l’impronta volutamente molto free destinata al repertorio.

Anche per chi non mastica abitualmente questi suoni, ed è qui per condivisibile curiosità , la sensazione è, comunque, di aver assistito ad una grande prova.