Credit: Sven Mandel, CC BY-SA 4.0, via Wikimedia Commons

Ultima tappa del tour italiano per i Simple Minds. I veterani scozzesi hanno piazzato una buona serie di date in Italia, trovando sempre sold out e grande affetto nella celebrazione di 40 anni di carriera. Certo, causa covid si è andati lunghi (lo show veronese, ad esempio, era programmato in origine per agosto 2020) a tal punto che la band è già  pronta a dare alle stampe un nuovo disco, ma quello che conta è soffiare le candeline su una torta che è stata a lungo veramente squisita e, tutto sommato, si è comunque mantenuta su livelli dignitosi nel corso di questa lunga avventura musicale.

L’Arena di Verona risponde “presente”: biglietti finiti e tantissimi stranieri (intorno a me, per dire, le lingue più gettonate erano inglese e tedesco) che non si sono lasciati scappare l’occasione di vedere i Simple su un palco che, per loro, è fonte di magici ricordi vista l’importanza e la bellezza di quella data del settembre 1989. Un palco sobrio, molto spartano, con visual decisamente contenute e nessun rimando ai volti dei protagonisti, come a mettere subito in chiaro che questa sera la vera protagonista sarà  la musica, nient’altro. Peccato che, in un tour così celebrativo, della line-up storica ci siano “solo” (e ci mancherebbe altro) Jim Kerr  e  Charlie Burchill e non, almeno, l’immenso Mel Gaynor (mi pare troppo chiedere pure Derek), però lasciatemi dire che Cherisse Osei alla batteria non fa rimpiangere quell’eroe di Mel, destreggiandosi con assoluta bravura, e Sarah Brown (ottima corista) e Berenice Scott alle tastiere danno un senso concreto   qualitativamente dignitoso al “Girl Power” citato da un divertito Jim durante lo show.

E’ “Act of Love” che apre la serata alle 21.15, quando il sole si abbassa all’orizzonte. Niente male dal vivo questo vecchissimo brano ripescato dalla band quasi per caso. Un boato accoglie i musicisti e Jim inizia la sua danza da folletto. Certo la grazia e l’agilità  magari non saranno più quelle dei tempi d’oro, ma non sfigura affatto e lui stesso promette di dare “il 100%” e vi assicuriamo che la percentuale è stata pienamente raggiunta. Si dimostra infatti instancabile il 63enne frontman, che si sposta da un lato all’altro del grande palco, concedendosi pure tappe tra il pubblico. Sempre molto piacevole anche la sua parlantina in italiano, in cui loda il nostro Paese e il suo pubblico, dimostra il suo affetto verso Verona e ci fa sorridere quando se ne esce con frasi tipo “Minchia, che caldo!“.

La scaletta è una cavalcata nei classici, come ci si aspettava. La band dosa con sapienza i pezzi più movimentati e i momenti di maggior raccoglimento, capaci di creare l’atmosfera, ma anche importanti per Kerr per ritrovare energie, andando ovviamente in crescendo e lasciando per il gran finale le canzoni che è impossibile non conoscere a memoria: ecco quindi che, se ci si muove con “Love Song”, si rifiata con la magia di “Big Sleeep”. Charlie non prende quasi mai le luci della ribalta, scudiero favoloso e insostituibile di un Kerr catalizzatore di sguardi.   “Waterfront” è il primo grande scossone: basso intenso e bordate strumentali, una canzone che resta davverlo trascinante. Tutti in piedi, sopratutto giù, nelle poltronissime, dove il calore è alle stelle.

“Glittering Prize” fa sempre il suo grande effetto e “Book of Brilliant Things” da merito alla voce di Sarah Brown di brillare (giusto per citare il titolo del pezzo) in modo intenso.   “Mandela Day” si fa evocativa, mentre la nuova “Vision Thing” avrebbe fatto bella figura nel mitico Festivalbar con il suo tiro pimpante ed estivo.   Non è un caso che “Belfast Child” sia proprio a metà  scaletta, come se fosse il segnale che ora si toccherà  l’apice emozionale e poi, da qui in avanti, ci si potrà  scatenare e ballare: canzone da pelle d’oca che viene eseguita con un pathos incredibile. La voce solitaria di Kerr, nella prima parte del brano, è favolosa e poi tocca finalmente a Burchill prendersi il centro del palco, con un assolo a regola d’arte. Emotivamente qui siamo al momento più bello del live, poco da fare.   “Themes for Great Cities”, con la tastierista che si improvvisa Sandy Marton (i fan degli anni ’80 capiranno se ricordano cosa suonava il caro biondone), da la possibilità  a Kerr di riposare un po’ la voce: gran bella esecuzione di un brano che non credevo avrei trovato in scaletta. Poi, beh, avanti tutta, in discesa, perchè con certe canzoni non si può che vincere facile (giustamente, sia chiaro). “Someone Somewhere in Summertime” è la solita bomba, anche se io sarei partito in modo classico con quella tastiera inconfondibile e “See the Lights” fa sempre il suo sporco dovere. “Don’t You (Forget About Me)” spinge tutti   i presenti a cantare e Jim si diverte a tirala per le lunghe, citando come il classico “lalalala” se lo canticchiasse alla mattina, in doccia, e mima sè stesso sotto l’acqua intento a lavarsi, molto spassoso. Bellissimo il momento in cui il pezzo sembra esaurirsi per poi ripartire alla grandissima. “New Gold Dream” è l’invito dei Simple Minds a ballare: l’Arena diventa una vera discoteca, tutti e dico tutti sono in piedi, la voce di Kerr tiene ancora bene e questo ci fa molto piacere.

La band saluta, ma sappiamo bene che all’appello manca ancora qualcosa e quando Jim sornione dice “non si va a casa stasera, c’è ancora voglia di buona musica” il pubblico pende dalle sue labbra.

“Speed Your Love to Me” viene eseguita praticamente in modo acustico, con le due coriste sugli scudi: perde in tiro ballabile e in ritmo, certo, ma acquista in fascino (anche se io avrei comunque preferito la versione classica). Gli ultimi due pezzi sono da 10 e lode e di quelli che fanno battere forte il cuore, ovvero “Alive and Kicking” e “Sanctify Yourself”. La voce del buon Jim inizia ad accusare un po’ la fatica, ma il nostro non molla fino alla fine e l’invito a cantare al pubblico, più che un aiuto alle sue corde vocali sembra ancora l’invito a godersi il momento a esplodere realmente di gioia. E tutto magnificamente accade.

E’ tempo dei saluti e degli inchini ai presenti, che tributano alla band, la meritata ovazione. Un buonissimo concerto, una solida empatia tra i SM e i loro fan e un sound che tutto sommato, almeno dalla mia postazione sui gradoni non numerati, non mi ha deluso, con strumenti e voce che mi sono sempre arrivati in modo più che egregio.

Arrivederci a presto (si spera) Simple Minds, Verona vi aspetterà  ancora con trepidazione.