Il boato che ha accolto The  Smile alla Cavea dell’Auditorium è stato diverso da ogni altro boato che ho ascoltato prima ad un concerto. E uguale si è ripetuto alla fine. Non è il boato che potresti sentire per Roger Waters: c’era più energia. E non è quello che, immagino, è risuonato qualche giorno fa per i Maneskin: sicuramente, c’era più consapevolezza. Non è nemmeno questione di numeri. Se si fossero presentati come Radiohead, anche loro avrebbero riempito il Circo Massimo, invece di soltanto sfiorare il sold out alla Cavea: un decimo della folla più o meno.

Ma noi “pochi” che eravamo lì, sapevamo di fronte a chi ci trovavamo quando siamo scattati in piedi all’ingresso di  Thom Yorke Johnny Greenwood: i due massimi geni rock di questa generazione. Questo si sentiva in quei boati. I due non sono ancora dei monumenti che, nel caso migliore, erano lì per riproporci “le grandi canzoni di una volta”. Sono abbastanza vecchi da dire che ce l’hanno fatta a cambiare per sempre la musica rock, a passare alla storia come gli Stones o i Pink Floyd; ma sono anche abbastanza giovani per essere ancora attuali.

E difatti, è stato un concerto di musica nuova, eseguita da una band nuova. Nemmeno una delle “grandi canzoni di una volta”: nulla dei Radiohead e ci spiace se qualcuno c’è rimasto male ma è giusto così. Stiamo parlando di quella che sarà  con ogni probabilità  la migliore “nuova band del 2022”. E come il concerto ci ha dimostrato, in questa band ha un posto ben preciso anche Tom  Skinner.  Senza di lui sarebbe un’altra band, un altro sound, un’altra musica.

“A Light for Attracting Attention” lo hanno eseguito tutto.  Nella nostra recensione  gli avevamo dato un 9 tondo che, una volta ascoltato dal vivo, non possiamo che riconfermare. Questa è musica simile ai Radiohead, eppure più semplice, più immediata. Quando, dopo una introduttiva “Pana-vision”, attaccano una serratissima “Thin Thing”, è una scarica di adrenalina che attraversa la Cavea e quando arriva il momento dell’assolo (dis) armonico di  Greenwood, ecco che ci hanno completamente conquistati: sono proprio loro, ci diciamo. Ci troviamo davvero di fronte alla leggenda.

Ed è così che restiamo incantati per la successiva ora e mezzo abbondante, in cui vengono aggiunte alcune tracce “inedite” (per quanto già  note su YouTube). Tra queste spicca, nel bis, “Just Eyes and Mouth”, che ha uno strano feeling funky anni ’70. Bis e concerto che si concludono con una bellissima “Feeling Pulled Apart by Horses”, prova solista di  Yorke del 2016, qui rivitalizzata alla grande. “You Will Never Work in Television Again” e “We Don’t Know What Tomorrow Brings” sono altri momenti che ricorderemo: punk per i giorni nostri, eseguito da signori di mezz’età  che hanno il pieno dominio della musica e degli strumenti. “Free in the Knowledge” e “Open the Floodgate” sono da brividi: ballad per lucine, in cui perdiamo ogni dubbio, se mai lo avessimo avuto, che Yorke è un grande cantante.

Il nostro eroe parlicchia anche italiano, sposato com’è a una nostra connazionale e lo utilizza per introdurci “The Same”: “allora, questa canzone: siamo tutti lo stesso… vogliamo lo stesso… anche se differenti… facile: non è complicato”.  Non urla Thom; la tocca piano. Tanto basta; se sei  Thom Yorke,  il messaggio arriva.