Sono ormai tanti anni che seguiamo i Why Bonnie, band guidata dal talento assoluto di Blair Howerton. Finalmente parliamo del loro, atteso, album di debutto che è arrivato il 19 agosto. La band in questi anni ha lavorato alla perfezione per affinare al meglio il suo sound e trovare la propria dimensione e questi 10 brani non possono che dimostrarcelo.

Il bedroom-pop che caratterizzava i primi lavori, immerso in una splendida cornice dream-folk (che sapeva a tratti anche diventare piacevolmente rumorosa, quasi in zona Alvvays), rimane un mood presente nel DNA dei Why Bonnie, che però ora è come se avessero assorbito anche una dimensione rurale, capace di guardare oltre al concetto di cameretta, ampliando spazi e vedute. E’ proprio questo orizzonte cangiante, classico eppure dal forte cuore indie, che ci cattura. E’ come se i Why Bonnie avessero preso gli spunti migliori da gente come Sheryl Crow, Slow Pulp e Soccer Mommy, creando un immaginario personale suggestivo, intenso e mai sfacciatamente malinconico, capace di appagare la nostra voglia di stare “on the road” ma anche la necessità  di momenti più raccolti e intimi: in entrambi i casi la band è sempre, assolutamente, credibile.

Ha un calore forte, quasi “sudista” il giro di chitarra che apre “Sailor Mouth”, canone che poi si dischiude a questo approccio morbido e delicato, un “nuovo” corso che la band porta avanti con disinvoltura lungo tutto il percorso sonoro e che con “Galveston” trova un suo sublime compimento. Ritornelli che scaldano il cuore, delicati passaggi chitarristici mai eccessivi o pesanti, anzi, sempre evocativi, un piano che ogni tanto fa capolino per impreziosire, con il suo tocco, il brano (“Nowhere, LA).

“Hot Car” e “Silsbee” sono al centro del disco, come se volessero indicarci che ora è tempo di abbssare i toni: prima della splendida title-track c’è bisogno di un raccoglimento speciale, con le luci soffuse.

“90 in November” apre la seconda parte del disco che, diciamolo, non presenta alcun piccolo segno di cedimento o stanchezza. Qui si vola altissimi, ve lo giuro. Un brano che sembra uscire da una pazzesca collaborazione tra dei Pavement pacati e American Football. “Healthy” è un momento delizioso, gioviale e dolcemente pop, con il ritmo che si alza appena e ci fa sentire così bene. Se in “Sharp Turn” emerge un lato sonico che sembrava sopito, con tanto di assolo finale, ecco che “Lot’s Wife” ci lascia senza fiato, con questa melodia struggente e l’andamento lento e avvolgente. Una canzone magnifica, con un giro di chitarra liquida che ci entra in testa e nel cuore. E si arriva così alla fine di un disco magnifico: la chiusura è affidata a “Superhero”, acustica e toccante, pare quasi di sentire i Radiohead degli anni ’90. Pelle d’oca.

Un esordio perfetto.

Per chi vi scrive, al momento, è disco dell’anno. 8,5 in pagella.

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