Incredibile come scrivere, ora, dei “primi” Coldplay spiazzi non poco, quasi si parlasse di una band che nulla a che vedere con quella attuale che, però, ha lo stesso nome e gli stessi musicisti. In effetti, a conti fatti, pare anche così: Chris Martin e soci hanno scelto la via del pop a 360 °, quello che non disdegna di certo le classifiche e le collaborazioni più sfacciate. Hanno perso molti fan per strada? Certo, ma tanti di nuovi ne hanno trovati. Il gruppo che faceva dell’intimismo e della sensibilità  un marchio di fabbrica è definitivamente perso? Potrebbe anche essere, ma una rubrica come la nostra, dedicata ai compleanni, non può che guardare, inevitabilmente al passato e qui siamo ancora al 2002, al secondo disco di una band che era pronta a fare il salto in termini di visbilità  dopo il già  ottimo esordio che tanti consensi aveva ricevuto.

Non è sbagliato dire che la “Coldplay-mania” inzia proprio con questo disco o, meglio, con il tour che segue l’album, non siamo noi a dirlo, ma i musicisti stessi. Certo che un tour può funzionare ottimamente se alle spalle ha un album solido (vabbè, non è sempre così, lo so, ma voglio fare l’utopista stasera) e in questo caso la seconda fatica dei Coldplay, “A Rush of Blood to the Head”, fa veramente bene il suo dovere.

Seppur le registrazioni abbiano avuto anche dei momenti di tensione, come si legge in giro, il disco mostra una band pienamente consapevole della sua “forza”, sviluppando e perfezionando quanto di buono c’era già  in “Parachutes”, perchè tutto sommato quello era giusto fare, lavorare proprio sui dettagli e non fare altro. Magari si è perso l’effetto sorpresa e tutto sembra più calcolato e ragionato, magari più che a Jeff Buckley i nostri iniziano a guardare un po’ più spesso agli U2, ok, ma di fronte al candore assoluto di una ballata struggente come “The Scientist” cosa vuoi dire? Come non emozionarsi con i saliscendi emotivi di “Politik” (primo brano del disco e inizio davvero da 10 e lode) o con il giro di piano, diventato ormai un classico, di “Clocks”? Queste sono canzoni che sanno stare in piedi sulle loro gambe, semplici, se vogliamo, eppure capaci di arrivare sempre al cuore, con la forza della malinconia (“Warning Sign”) o di ritornelli che entrano dritti in testa (“A Whisper”).

Chris e un pianoforte, in “Amsterdam”, dimostrano che anche con pochi elementi si può avere un brano magnifico e da pelle d’oca, prima del finalone trionfale.

Si, erano proprio capaci di questo “quei” Coldplay: dispensare emozioni. Ora pare che la cosa non riesca più e “il peggio” è che tutto sembra, ripeto sembra, pure fatto volutamente, in funzione di altri ideali, non più quelli che muovevano la band nei primi due dischi. Potremmo aprire un dibattito, ma ci fermiamo qui, e ci riascoltiamo ancora una volta un disco bellissimo, senza punti deboli.

Pubblicazione: 26 agosto 2002
Durata: 54:08
Dischi: 1
Tracce: 11
Genere: Rock alternativo, Pop rock
Etichetta: Parlophone
Produttore: Ken Nelson, Coldplay
Registrazione: settembre 2001-maggio 2002 Studio 2 Mayfair, New York (New York); Studio 3 Parr Street, Liverpool (Regno Unito); AIR Studios, Londra (Regno Unito)

Tracklist:

Politik
In My Place
God Put a Smile upon Your Face
The Scientist
Clocks
Daylight
Green Eyes
Warning Sign
A Whisper
A Rush of Blood to the Head
Amsterdam