Mi è piaciuto davvero molto  “2013-2021 Dal diario di Luigi La Rocca, cittadino“, mastodontico e multiforme ultimo lavoro discografico dei  Maisie, guidati da Alberto Scotti  Cinzia La Fauci, impegnati da anni anche con la etichetta indipendente Snowdonia Dischi.
In fase di recensione ho usato parole lusinghiere ma a mio avviso assolutamente meritate, considerando l’album un unicum  non solo all’interno della loro ormai cospicua esperienza musicale, ma proprio dell’attuale scena indie  italiana.

La voglia di saperne di più era tanta, e visto che stimo molto le due persone in questione, mi è venuto naturale contattarli direttamente per questa intervista.

Cari Cinzia e Alberto, come sapete ho apprezzato tanto il vostro ultimo disco, trovandolo particolare, variegato a livello musicale ma con una forte e precisa identità . Qual è stato l’input principale per la sua origine?
Dall’osservazione della realtà , diretta o filtrata dai media (ormai la differenza è pressochè impercettibile).  Luigi La Rocca  è il tizio che leggi sui  social, il parente, il vicino di casa, che assorbe, come una spugna, tutta la propaganda che c’è nell’aria, restituendola sotto forma di “perle di saggezza” in forma orale o scritta. Un tempo queste sarebbero state canzoni di lotta, di contestazione. Ma questo aveva senso quando c’era una dialettica politica reale, non una pantomima tra poliziotto buono e poliziotto cattivo al servizio dello stesso padrone. Non c’è più margine di manovra, non ci sono reali movimenti di opposizioni al sistema, solo piccolissime e impotenti tribù di  desperados. Quindi perchè questo disco? Forse una forma di sublimazione, qualcosa che devi gettar fuori per non impazzire di rabbia.

Io lo definisco anche un disco “coraggioso”, non solo per i tanti temi affrontati a muso duro ma soprattutto, mi vien da dire, perchè a rischio fraintendimento; non avete messo in conto l’effetto boomerang o pensate di avere un pubblico affezionato che ormai capisce al volo le vostre reali intenzioni?
Nel momento in cui inizi a ragionare in questi termini sei artisticamente morto. Non puoi star lì a pensare:  “oddio, se scrivo questa cosa qui mi gioco una fetta di pubblico“,  “no, questa meglio di no, che poi magari qualcuno non capisce l’ironia e mi prende per nazista”. Personalmente ne ho fin sopra i capelli di furbacchioni, paraculi, cerchiobottisti. Senza alcuna presunzione, noi prendiamo la nostra posizione e quel che succede succede.

Mi sembra dalle tante recensioni lette, e mi scuso se anch’io posso aver affrontato poco la questione, che in generale questo disco abbia colpito moltissimo per i testi, quando invece c’è (anche) una componente musicale pazzesca. Come avete riordinato le tante idee musicali? Avete mantenuto lo stesso modus operandi dei dischi precedenti?
Posso dirti che testi e musiche, in questo album, nascono dalla stessa tensione politica, dalla medesima rabbia. Luigi La Rocca è un untore, un megafono della spaventosa banalità  dell’ideologia imposta dalle classi dominanti ed è a questa ideologia che si ribella il nostro modo di fare musica. All’epoca dei format, dei prodotti seriali, della trasgressione da supermercato, della plastica, reagiamo con la sporcizia, con l’asimmetrico, il difforme, lo sgorbio, l’errore. Abbiamo bandito ogni  preset, cercato di evitare le solite costruzioni armoniche, provato in ogni canzone, brano strumentale a sorprendere innanzitutto noi stessi. Da un punto di vista tecnico non ti nascondiamo che gestire questa mole di materiale, coordinare tutti gli ospiti ecc”… è stato terribilmente faticoso, ma anche incredibilmente divertente.

Venendo ai dischi precedenti, i Maisie ormai hanno acquisito uno status di band di culto assolutamente non convenzionale, ma non avete mai pensato, conoscendo un po’ anche il vostro background e gli ascolti personali, di realizzare un disco di musica leggera, più accessibile a tanta gente?
Assolutamente sì e non certo per furbizia, ma perchè abbiamo un autentico culto per la musica leggera italiana. Per realizzare il disco pop dei sogni avremmo bisogno della guida celeste di  Fred  Bongusto  e Franco Califano  e di quella terrena di  Nicola Di Bari. C’è un solo grande problema: il timore reverenziale, la paura di confrontarsi con questi modelli enormi. Insomma, fare un pezzo in 13/8 è un conto, rivaleggiare con la perfezione di  “Molise”  di Bongusto è un altro.

Avrei una voglia matta di vedervi dal vivo in concerto e immagino sia complicato ricreare tanta abbondanza musicale sul palco. Vi ritenete più un gruppo da studio o da concerti?
Dipende dalle singole anime del gruppo.  Alberto  ad esempio sul palco non ci sale proprio,  Cinzia è un animale da palcoscenico, così come Vittorio,  Max  Tommy, che calcano le assi di legno del palco con la stessa disinvoltura con la quale Gesù camminava sulle acque. Ma una cosa è certa: per noi lo scopo di un gruppo è fare bei dischi, impegnarsi su quelli e poi, casomai, portarli in una dimensione live. Insomma, il contrario di quel che abbiamo visto nell’ultimo trentennio, uno scenario in cui spesso l’album è una cosa un po’ buttata lì giusto per avere il pretesto per tornare a suonare dal vivo.

Per approntare il diario di Luigi La Rocca avete raccattato immagino il peggio del mondo social: avete individuato un La Rocca-tipo? Chesso’? Un prototipo per età , studi, sesso, provenienza oppure ormai certi concetti fanno ormai parte in modo trasversale della società  e i social non hanno fatto altro che ingigantire un sentire comune già  radicato?
No, davvero, il nostro Luigi è un fetente Frankenstein accroccato con pezzi di uomini, donne, etero, gay, trans, vecchi, cinquantenni, ragazzini, gente con la quinta elementare e plurilaureati, terroni e polentoni, ex comunisti, progressisti, qualunquisti, fascisti ecc”…

Ho ascoltato negli anni diversi dischi della vostra etichetta Snowdonia e devo ammettere si tratta quasi sempre di album di livello, indipendentemente dal genere musicale. Come scegliete i vostri artisti?
La prima cosa che ci colpisce è che l’artista abbia personalità  e cose da raccontare, che si intuisca che per lui la musica è una cosa importante, una necessità , non un fatto casuale o un hobby, ma una passione intensa.

Contano anche le affinità  personali, un sentire comune di come essi vivono la musica?
Decisamente si, se percepiamo che dentro a un progetto ci sono sangue e vita, lo sentiamo vicino al nostro spirito.

Vi basate su sensazioni e date ampia libertà  di scelta o siete “padroni dell’etichetta” di quelli che supervisionano e danno consigli?
Ci piace dare massima libertà  e accogliere gli artisti con la loro personale forma di espressione, portando nella scuderia snowdoniana i dischi che, fin dal primo ascolto, ci hanno colpiti ed entusiasmati.
Diamo consigli solo in pochi casi e solo se espressamente richiesti: ci sono state volte in cui abbiamo agito da produttori artistici, dando indicazioni, suggerimenti, idee di arrangiamenti.
Ci piacciono entrambi i modi: il primo è come entrare in un negozio di dischi, ascoltare gruppi che non conosci e trovare chi ci faccia dire:  “wow, che fico”.
Nel secondo caso, è bello vedere come le nostre idee prendono forma e si mescolano con quelle del musicista.

Di voi mi piace che, al di là ‘ della competenza e bravura musicale, abbiate tanta genuina passione per la musica ed è bello che spesso vi spendiate a favore di determinati artisti non necessariamente della vostra scuderia. è una domanda un po’ personale ma da dove partono i vostri imprinting musicali e quando avete capito che la musica avrebbe fatto per sempre parte della vostra vita?
Cinzia canta praticamente da quando è nata e all’asilo ha imparato a scrivere da sola, per potersi conservare i testi delle canzoni che le insegnavano lì. In tutta l’infanzia, in ogni festa con un gruppo che suonava dal vivo, Cinzia pregava il papà  di chiedere se poteva cantare sul palco. Qualche volta ha anche funzionato.
Alberto  a otto, nove anni, era pieno di 45 giri e passava i pomeriggi con il mangiadischi a fare il dj in salotto, per la gioia della sorellina che stava ad ascoltare.
Per entrambi, è impossibile, da sempre, immaginare una vita senza la musica.

Voi siete abilissimi a inquadrare la realtà  e a riportarla non disdegnando sarcasmo, allusioni e prese di posizioni. Con cosa dovremo fare i conti in futuro? I cambiamenti climatici, politici, sociali? Foste voi al governo da dove iniziereste a lavorare?
I  Maisie  sono una band socialista del volto umano, qualcosa che sta tra Fidel Castro,  Pasolini  e Olof Palme.
La nostra idea consiste fondamentalmente nel riportare al centro di tutto la “cosa pubblica”, riducendo il privato da belva feroce in libertà  a domestico cagnetto da compagnia.
Fatto questo, passeremmo a un progetto di economia pianificata, però diverso da quel che stanno facendo i cinesi: niente gigantismo nè produzione forsennata e iper inquinante con attenzione quasi esclusiva solo ai bisogni materiali. Magari tutti un po’ più poveri, con meno cose superflue, ma con il necessario per vivere, sviluppo in armonia con l’ambiente, lavoro garantito, più tempo libero, iniziative culturali creative e stimolanti, non di quelle barbose, e piani per la disintossicazione da dipendenza tecnologica, che è la nuova eroina, anzi peggio, perchè quella colpiva solo i giovani, questa ammazza tutti.

Vediamo continuamente ottantenni attaccati al cellulare come Sid Vicious  lo era alla siringa.

Ultima domanda: avete già  in cantiere qualcosa di nuovo a nome Maisie o siete concentrati su altri progetti? E infine potreste consigliare alcuni album ai nostri lettori?
Siamo già  al lavoro sul nuovo album dei  Maisie, anzi, ti anticipiamo il titolo, in esclusiva mondiale, anzi interplanetaria:  “Uomini, soli”.  Come dicevamo in precedenza, la mole di lavoro sui nostri album è imponente, e dove lo troviamo il tempo per altri progetti? Riguardo ai nostri album non possiamo che consigliare l’ultimo:  “Dal diario di Luigi La Rocca, cittadino”.  Chi dovesse trovarlo bellissimo potrà  completare la trilogia della “realtà ” con i due precedenti:  “Maledette rockstar”  del 2018 e “Balera metropolitana”  del 2009. Ah, importante: comprate i dischi fisici. Abbiamo bisogno di roba vera, che si può toccare, sfogliare, che occupi spazio. Il virtuale lasciamolo ai La Rocchi.