We wish to thank the great COKE-Cola Company of Los Angeles. Cosa si nasconde dietro questo singolare ringraziamento inserito nelle note di copertina del quarto album dei Black Sabbath? Un genuino omaggio alla multinazionale statunitense che produce bibite analcoliche o qualcos’altro? Non serve l’acutezza di Roberto Giacobbo o degli autori di “Voyager” per svelare l’arcano: il messaggio in codice ““ che tanto in codice non è, in fin dei conti ““ è una vera e propria dichiarazione d’amore nei confronti della cocaina.

Una droga così apprezzata dal quartetto di Birmingham da essere riuscita a ritagliarsi un ruolo da assoluta protagonista in “Vol. 4” – un disco che, contraddistinto com’è da una creatività  letteralmente irrefrenabile, è da considerarsi tra le migliori manifestazioni “musicali” del connubio tra rock e sostanze stupefacenti. Un clichè trito e ritrito ma prodigo di risultati straordinari, soprattutto in quegli anni di scoperta che furono i “’60 e “’70.

Scritto e registrato in una California sommersa dalla polvere bianca, il lavoro segna l’inizio di una nuova fase artistica nella carriera dei Black Sabbath che chiudono con i suoni cupi e funebri del proto-doom degli esordi (portati agli estremi nel monumentale “Master Of Reality”) per allargare in maniera importante i loro orizzonti.

La band britannica, già  all’apice del successo, è pienamente consapevole del proprio talento e tratta l’heavy metal alla stregua di una materia malleabile ed elastica. Un genere ancora nuovo e ricco di potenziale che i Black Sabbath esplorano in ogni direzione, senza il terrore di uscire fuori dai binari ma sempre ben attenti a includere i loro più noti marchi di fabbrica; in primis i leggendari riff di chitarra di Tony Iommi, qui come al solito in forma smagliante.

Tra atmosfere psichedeliche, parentesi acustiche, ritmi sfrenati e repentini sbalzi d’umore, il cinquantenne “Vol. 4” continua a stupire grazie a una fantasia torrenziale e a tratti persino feroce, amplificata dall’inarrestabile fame di droga condivisa da tutti e quattro i membri dei Black Sabbath. Vorrei spingermi a dire che, a modo suo, l’album riesce a tradurre in musica tutte le varie “tappe” del consumo di cocaina ““ o, per essere più chiari, a suggerire gli effetti neurologici della sostanza.

L’energia hard rock che alimenta brani come “Tomorrow’s Dream” e “St. Vitus Dance” cresce d’intensità  fino a trasformarsi in ansia, agitazione e panico: nelle blueseggianti “Wheels Of Confusion” e “Snowblind”, ma ancor di più nelle devastanti “Supernaut”, “Cornucopia” e “Under The Sun”, la tensione si taglia in sottili linee bianche.

Il battito cardiaco accelera fino all’esplosione finale con le note dolci e strazianti di “Changes”, una sorprendente piano ballad così bella, intensa e sofferta da spazzare via ogni sensazione di euforia indotta chimicamente. Da brividi la prova al microfono del sempre sottovalutato Ozzy Osbourne che, con un testo tanto semplice quanto sentito, sottolinea in maniera egregia il vuoto da solitudine e abbandono che si genera in ogni persona che abbia avuto a che fare con le droghe pesanti.

Data di pubblicazione: 25 settembre 1972
Tracce: 10
Lunghezza: 42:18
Etichetta: Vertigo
Produttori: Black Sabbath

Tracklist:
1. Wheels Of Confusion
2. Tomorrow’s Dream
3. Changes
4. FX
5. Supernaut
6. Snowblind
7. Cornucopia
8. Laguna Sunrise
9. St. Vitus Dance
10. Under The Sun