Non si può certo dire che i cinque anni abbondanti trascorsi tra “Death Song” e “Wilderness Of Mirrors” siano stati poveri di eventi. Ne sono pienamente consapevoli anche i Black Angels, moderni paladini dello psych-rock, che hanno voluto incentrare la loro nuova, attesissima fatica in studio proprio sulla follia, sulle inquietudini e sugli orrori che hanno stravolto il mondo nell’ultimo lustro: dall’elezione di Donald Trump alla Casa Bianca fino alla guerra in Ucraina, passando naturalmente per l’incubo della pandemia, i cambiamenti climatici e gli effetti dell’alienazione tecnologica.

Cosa sta accadendo realmente? Cosa, invece, è solo frutto di un tremendo incubo collettivo? Il dubbio assale ma non frena la band di Austin che, con le quindici tracce di “Wilderness Of Mirrors”, si lancia in un lungo viaggio lisergico con l’obiettivo di dare se non un ordine, quantomeno una specie di senso al caos dominante.

Non c’è vera confusione nel suono variegato, vivace ed estremamente acido del disco. L’unico scopo dei Black Angels targati 2022 è dare una forma musicale ““ o, per meglio dire, molteplici forme musicali ““ al tumulto senza fine della vita moderna. Una condizione di stress perenne che si avverte in maniera decisa nei brani più abrasivi e oscuri dell’opera, senza ombra di dubbio il piatto principale “Wilderness Of Mirrors”.

Grande il piacere di ritrovare l’energia delle potentissime chitarre fuzz del gruppo texano nel micidiale avvio dell’ opera, con ben tre canzoni (“Without A Trace”, “History Of The Future” ed “Empires Falling”) all’insegna del garage rock più aspro e spigoloso.

Il frequente ricorso al mellotron, all’organo e agli archi aggiunge spessore a un album dalle mille sfaccettature, pervaso da sgargianti atmosfere “’60s ma non per questo “monocolore”. Ai Black Angels non interessa molto stare al passo coi tempi, ma di certo non vogliono limitarsi a ripetere a pappardella le lezioni apprese da mostri sacri come Roky Erickson, Arthur Lee, Syd Barrett e i Velvet Underground – ancora una volta presentissimi come influenze e letteralmente citati nel testo di “The River”.

In questo disco c’è tutta la personalità  e l’esperienza di una band che, infischiandosene delle mode e delle leggi del mainstream, difende a oltranza il suo amore incondizionato per la psichedelia dura e pura. Senza aver paura di diluirla in melodie pop (“Firefly”, “100 Flowers Of Paracusia”) o renderla più robusta, “imbastardendola” con sonorità  soul, garage e hard rock (“El Jardà­n”, “La Pared (Govt. Wall Blues)”, la beatlesiana “A Walk On The Outside” con un groove simile a quello di “Taxman”). Un altro bel lavoro per un gruppo unico nel suo genere: diffidate delle imitazioni.

Credit Foto: Pooneh Ghana