Malati, moribondi o morti? A noi sembra che i Megadeth, nonostante i quarant’anni di carriera sul groppone, godano ancora di ottima salute. L’età  avanza, gli acciacchi si fanno sentire ma Dave Mustaine è ancora qui tra noi, fresco come una rosa dopo aver sconfitto il cancro. Un padre di famiglia ultrasessantenne che non vuole neanche sentir parlare della pensione. L’idea di ritirarsi non gli passa neppure per l’anticamera del cervello; meglio un coltello tra i denti e una tenuta da combattimento per scagliarsi contro quei poteri forti che da sempre sono al centro dei suoi testi roventi.

Una cospirazione contro il sistema? L’alba di un nuovo ordine mondiale? Lasciamo in un angolo le teorie del complotto che tanto appassionano il bellicoso Mustaine per concentrarci sull’unica cosa che realmente conta: la musica contenuta nel suo nuovo, esplosivo album. E da questo punto di vista non possiamo lamentarci di nulla (o quasi) perchè “The Sick, The Dying…And The Dead!” gira che è una bellezza.

Il thrash metal iper-tecnico, moderno e d’impatto dei Megadeth ultima fase è una garanzia. Bene o male sai cosa aspettarti ma, tra qualche riempitivo e non troppa fantasia, hai la certezza assoluta di trovare quelle cinque o sei tracce che, senza troppi giri di parole, suonano davvero micidiali. E in questo disco sono incluse alcune tra le migliori canzoni pubblicate dalla band dai tempi della reunion del 2002 a oggi.

La title track, “Life In Hell”, “Dogs Of Chernobyl”, “Killing Time”, “Cèlebutante” e “We’ll Be Back” sono veri e propri pugni allo stomaco; un fiume di rabbia e cattiveria che travolge l’ascoltatore, quasi a volergli ricordare a quali livelli di qualità  possa arrivare la musica pesante quando fatta con potenza, esperienza e passione.

La velocità  tipica del thrash è solo un minuscolo tassello in un quadro vastissimo dove ogni elemento concorre alla nascita di brani ricchi e sfaccettati – caratterizzati da cambi di tempo, strutture complesse e un dinamismo tale da infondere energia anche agli episodi più altalenanti. Le atmosfere epiche di “Night Stalkers” sono così inebrianti da farci dimenticare i non pochi passaggi a vuoto (vedi l’inutile sezione acustico-orchestrale o la parentesi rappata di Ice-T); i ritmi vorticosi che chiudono la melodica “Mission To Mars” riescono a cancellare dalla memoria quella linea di synth che, posta in apertura, fa temere il peggio.

L’album prova ad accontentare un po’ tutti i fan delle varie ere dei Megadeth. Sui midtempo stile anni “’90 viene dato grande risalto all’impronta hard rock e ai ritornelli (“Sacrifice”, “Junkie”, la già  citata “Mission To Mars”), mentre nei pezzi più tipicamente thrashy lo spazio è tutto per i riff (come sempre clamorosi: Mustaine non li sbaglia mai) e gli assoli.

C’è molta carne sul fuoco ma a volte la fiamma è troppo alta. In alcuni frangenti, infatti, la band tende a strafare e ad accumulare ingredienti superflui, appesantendo oltremisura composizioni che avrebbero funzionato meglio senza tanti fronzoli. Di “Night Stalkers” ne abbiamo già  parlato, ma vale la pena tornarci perchè rappresenta un enorme rimpianto: se fosse durata quattro e non quasi sette minuti, sarebbe stata un piccolo gioiello. Discorso opposto per la brevissima “Psychopathy” che, con i suoi ottanta secondi, non aggiunge davvero nulla a “The Sick, The Dying…And The Dead!”.

Un album non perfetto ma decisamente convincente, forte tra l’altro di una formazione che definire stellare è poco. A far compagnia a Mustaine ci sono il chitarrista super-virtuoso Kiko Loureiro (ex Angra), il poderoso batterista Dirk Verbeuren (ex Soilwork) e il bassista “special guest star” (e che star!) Steve Di Giorgio (Sadus, Death, Testament“…). Direi che basta e avanza, no?

P.S.: interessanti le due cover incluse nella versione digitale del disco: “Police Truck” dei Dead Kennedys e “This Planet’s On Fire (Burn In Hell)” di (e con) Sammy Hagar.

Credit Foto: Stuart Sevastos [CC BY 2.0],  via Wikimedia Commons