Tornano in Italia i Sigur Ros, bissando la data di ieri sera al teatro Geox di Padova, siamo al Forum di Assago che li ospita per questo secondo e conclusivo appuntamento.

Si vocifera di un disco nuovo in lavorazione, ma per ora non ci sono notizie più precise in merito, quindi questo ennesimo tour europeo che fa da ponte alla manciata di spettacoli estivi, è una sorta di riassunto delle puntate precedenti, il modo migliore per tirare una linea in attesa di futuro materiale che manca, tra l’altro, dal 2013 anno di pubblicazione di “Kveikur”, che per il sottoscritto è uno dei loro dischi migliori, magari non il più significativo, ma probabilmente il più bello, quello più in forma canzone o con parvenza di convenzionalità  ragionata. Poi un lungo silenzio fino al 2020 anno della pubblicazione dello sperimentale “Odin’s Raven Magic” insieme a Marà­a Huld e Markan Sigfàºsdóttir, una via di mezzo tra un reale nuovo lavoro in studio e appunto una sorta di messinscena, musicando un poema storico islandese, esecuzione registrata a La Grande Halle de la Villette a Parigi.

Al di la dei gusti siamo di fronte ad un pezzo di storia recente dell’elite dell’underground o alternative che dir si voglia, più di vent’anni di carriera e personalità  da vendere, in grado di creare un vero e proprio nuovo linguaggio.

Quindi al Forum siamo in modalità  “raccolta”, che sicuramente è il modo migliore per vedere un progetto, con le canzoni più importanti che hanno segnato un percorso che dall’Islanda ha portato i Sigur Ros sui grandi palchi del pianeta.

C’era e c’è tanta attesa di vedere uno dei gruppi preferiti di una generazione musicale, quella degli anni zero immersa nelle atmosfere dilatate di un certo post-rock, nell’elettronica mescolata alla scrittura classica. I Sigur Ros sono riusciti a riassumere tutto questo con la grande capacità  di lasciare il segno pur cantando in una sorta di lingua inventata, andando ad utilizzare ancora di più la voce come uno strumento.

Per quanto riguarda la formazione capitanata sempre dall’istrionico e leader Jonsi c’è il piacevole ritorno di uno dei musicisti storici, Kiartan Sveinsson, che dal 2013 mancava in pianta stabile.

Come per tutto il tour europeo, non c’è artista di supporto, quindi Sigur Ros in prima linea poco dopo le 21, ad intraprendere un viaggio, malinconico, crepuscolare, soffuso, che mischia tutto il loro dna sonoro con dei visual bellissimi, che sono parte integrante e fondamentale del racconto.

Glaciali e imperscrutabili, quanto unici di per se, regalano una sorta di esperienza più che un classico concerto, dove la voce di Jonsi, elemento imprescindibile e vero asso della manica fin dal giorno zero, guida l’ascolto tra le atmosfere più rarefatte, penso all’iniziale quanto potente “Vaka” che rompe il ghiaccio come da marchio di fabbrica e via via tutta una serie di episodi che hanno fatto parte della loro storia in queste due decadi di popolarità ; una sorta di montagne russe uditive, dal minimalismo ai suoni quasi doom, in chiave sonica, con l’immancabile archetto con cui Jonsi suona la sua Gibson.

Un concerto intensissimo, che richiede anche una pausa centrale di 15 minuti abbondanti con tanto di luci accese, come a teatro, un intermission tra atto primo e atto secondo.

Chiudono con un’apocalittica Popplagio, se ne vanno senza salutare, e di fatto, senza dire una parole in più di due ore di set, ma tempo un paio di minuti rientrano per una standing ovation con calorosi abbracci virtuali e sorrisi per chiudere al meglio un concerto, probabilmente non per tutti i gusti, ma significativo come sempre.