[ndr: Sempre più spesso ci si trova in difficoltà  per stabilire una data esatta di uscita di dischi pubblicati anni fa. Anche in questo caso è difficile stabilire quando questo album sia stato effettivamente pubblicato. Il mese era, da quanto ricordiamo, quello di novembre, qundi abbiamo deciso di prendere una data arbitraria del mese, che abbiamo stabilito essere, in questo caso, il 4 novembre. Ci scusiamo ovviamente con chi ricordasse altre date o conoscesse il giorno esatto di pubblicazione.]

Nella nostra rubrica sui compleanni dei dischi più significativi da festeggiare, molto spazio lo hanno avuto quelli pubblicati negli anni ’90, sia in ambito internazionale che nazionale. A tal proposito sono sfilati in rassegna i migliori album di gente come C.S.I., Afterhours, Marlene Kuntz, Subsonica e altri ancora, a testimoniare il grande fermento creativo che regnava in quel periodo anche dalle nostre parti.

Valeva per tanti generi, come il folk, il pop o il trip-hop, ovviamente, ma è chiaro che specialmente in ambito più prettamente rock non si vedevano tanti esponenti tutti insieme dagli anni ’70, quando ci fu un gran fiorire di gruppi legati alla musica prog che seppero imporsi o quanto meno farsi apprezzare anche all’estero.

E se è vero che certi semi di un rinascimento del rock in lingua italiana si ebbero negli anni ’80, grazie soprattutto alla scena fiorentina di Litfiba, Diaframma e Moda, è altrettanto innegabile che nel decennio successivo si assistette all’esplosione ““ anche su vasta scala ““ di tanti artisti che in quanto a estro, linguaggio e talento poco avevano da invidiare agli illustri colleghi stranieri.

Non si ragionava più a quel punto per “scene” ma è indubbio che molti tra i nomi più in auge denotavano una matrice comune; eppure nel mezzo c’era chi sapeva distinguersi, ricacciando facili etichette senza in pratica assomigliare a nessun altro.

E’ il caso degli Scisma, sestetto con base sul Lago di Garda, sponda bresciana, facenti capo al carismatico Paolo Benvegnù, il cui status e peso specifico per le sorti della musica italiana sarebbe emerso chiaro a tutti sin dalle sue prime prove soliste nel nuovo millennio.

Gli Scisma però erano a tutti gli effetti una band, dove ogni elemento concorreva fattivamente alla resa e al prodotto finale, mettendo al servizio di un ambizioso progetto comune la propria inclinazione, al fine di creare una visione univoca e assai sfaccettata.

Il talento scorreva oltremodo copioso, oltre che nel già  citato leader, anche nella pianista e tastierista Michela Manfroi (i due erano i compositori principali del gruppo, splendida coppia all’epoca non solo artistica), nel valente chitarrista Diego De Marco e nella potente ed eclettica sezione ritmica formata dalla bassista Giorgia Poli e dal batterista Danilo Gallo, senza scordare la fascinosa Sara Mazo, la quale unitasi agli Scisma in seguito (quando già  avevano realizzato l’ep “Pezzetti di carta”) al posto di Antonella Ianniello, aveva indubbiamente contribuito alle loro fortune, diventandone iconica voce e immagine suadente.

“Bombardano Cortina”, cd autoprodotto nel 1995, è succoso antipasto di quel che verrà  e mette in campo muscoli e grazia, ermetismo e immediatezza, suscitando i primi bagliori di interesse da parte della critica.

In prossimità  di un nuovo lavoro in studio, che doveva essere quello della consacrazione, ad accaparrarsi questa nuova possibile next big thing del rock tricolore è addirittura la EMI, in un momento storico dove sono soprattutto le label indipendenti a farla da padrone nel lancio dei nuovi talenti nostrani, dal Consorzio Produttori Indipendenti, alla Mescal, dalla Toast Record alla Vox Pop; ma si sa, quando un fenomeno è in rampa di lancio, le major sono abili a fiutare l’aria del cambiamento, e nel caso specifico lo fecero dando vita a delle sottoetichette che garantivano piena libertà  artistica.

E se alla Polygram/Universal inaugurarono la Black Out, mettendo sotto contratto gente come Negrita, Soon, Modena City Ramblers e Ritmo Tribale, ecco che la EMI poteva rispondere con la Catapulta Records, con cui firmarono tra gli altri i Quartiere Latino, i Tetes de Bois, oltre appunto agli stessi Scisma.

Le aspettative più alte erano senz’altro principalmente riposte su questi ultimi, che chiamarono come produttore per il nuovo disco Manuel Agnelli, non ancora in quel 1997 un guru della scena indipendente ma di certo un artista tra quelli maggiormente in rampa di lancio come frontman degli Afterhours, in procinto di riuscire a pubblicare l’epocale “Hai paura del buio?”, futura pietra miliare della musica italiana alternativa.

Fu pubblicato quindi venticinque anni fa questo nuovo album dei bresciani, evocativo e misterioso sin dal titolo.

“Rosemary Plexiglas” mostrava una band cresciuta sotto ogni aspetto: musicale, concettuale, stilistico, con tutte le numerose istanze in precedenza manifestate qui pienamente tradotte mediante 14 brani, tutti dal notevole impatto emotivo e dalla forte personalità .

A un primo ascolto queste canzoni colpirono per una serie di fattori difficilmente riscontrabili altrove: il lirismo e la particolarità  dei testi; il magnifico intreccio canoro di due voci uniche e ancorchè complementari; un apparato musicale assai eterogeneo, a comporre un mosaico credibile –   seppur a tratti ostico, ricchissimo com’era di rimandi, alchimie e suggestioni – , e non ultime delle soluzioni sonore intriganti e poco convenzionali a certe latitudini.

Generalmente ascrivibile all’area del rock alternativo, all’interno di questo disco è possibile imbattersi in riferimenti psichedelici, jazz, elettronici, autoriali, tutti declinati in maniera assolutamente naturale, come se fossero da sempre nelle corde dei protagonisti.

La title-track posta in apertura è emblematica delle intenzioni (e delle passioni) dei Nostri, e riuscendo a racchiuderne al suo interno l’intera poetica, ci fornisce al contempo una composizione musicale che nel suo efficace mix di classicismo e modernità  rasenta la perfezione.

Forte di un magnifico arrangiamento, con i sontuosi archi a circoscrivere ispirati versi, il brano sa muovere nel profondo l’ascoltatore, finanche a commuoverlo.

In quegli anni non erano pochi i riferimenti alla plastica, al plexiglas, tema sentito in artisti coevi come Carmen Consoli (“Amore di plastica”), i Prozac + (“Testa plastica”), Gianluca Grignani (“La fabbrica di plastica”) e prima ancora Ligabue (“Anime in plexiglass”) che rivendicavano una propria autenticità  contrapponendola a questo materiale artificioso sempre più utilizzato, ma gli Scisma, a parte questa curiosa “parentela” semantica, ne davano una chiave di lettura originale, intessendo il tutto di una accorata vena poetica: Forme nuove/Forse inventerò/Illumino di plexiglas/Le mie sculture jazz/Che sono come me/Che sono dentro me”.

Si entra quindi estasiati tra le viscere del disco ma questo mood sognante non verrà  sempre giocoforza assecondato, e già  dalla successive due tracce infatti si nota bene quanto saranno cangianti gli umori e differenti le atmosfere disegnate; tradotto: sono davvero numerose le situazioni memorabili regalate agli ascoltatori!

“Completo” vira subito su un rock poderoso, con un muro di chitarre telluriche a ricordare alcuni momenti cari agli Smashing Pumpkins (certi interventi di De Marco paiono debitori di Corgan e soci), ma sa anche rallentare in maniera opportuna, mentre con “Loop 43” si prende la scena Paolo Benvegnù, qui voce principale, in un brano pieno zeppo di distorsioni, suoni, magie sonore e parole enigmatiche, in un mix di inglese e italiano dall’irresistibile fascino.

In “Psw” c’è l’esatta definizione di amalgama, quello che scaturisce perfetto dall’alternanza del cantato di Sara e Paolo, che sembrano rincorrersi dentro questo manifesto obliquo dal ritmo incalzante.

Nella sbilenca filastrocca “Negligenza” la Mazo diventa protagonista consapevole e impertinente, in un climax ascendente di suoni e colori, mentre con “Centro” si viene catapultati in un vortice denso e ombroso, caratterizzato dal minaccioso basso di Giorgia Poli e dal possente drumming di Danilo Gallo.

La successiva “Svecchiamento” si nutre di una mirabile dicotomia, laddove a una musica per lo più lineare e senza scossoni, si sposa uno dei testi più criptici partoriti da Benvegnù, sorta di paradigma per futuri brani dal suggestivo impatto narrativo: “Voglio ubriacarmi con te/goderti fino al mattino/per motivare l’agreste bisogno di svendere fluidità “.

Seguono tre rimarchevoli episodi dove poter staccare un attimo la spina e rimettere in fila i pensieri, tra la melodia inarrestabile di “Videoginnastica” ““ che dal vivo risultava assai ficcante e coinvolgente -; i bagliori eterei de “L’autostrada” (con i magnifici rintocchi di tastiere della Manfroi in evidenza); e la dolcezza infinita de “L’equilibrio”, il cui titolo esemplifica al meglio la proposta artistica del gruppo, che qui in particolare riesce a mediare alcune genuine irruenze indie-rock con tocchi di raffinatezza musicale e squarci di luce che emergono quando meno te lo aspetti.

Una struttura bipolare ma tenuta in piedi egregiamente per mezzo di un’identità  artistica definita, che crea un magma compatto e per nulla disomogeneo.

Il disco scorre pieno di sorprese e senza alcuna caduta, mantenendo viva l’attenzione con impasti sempre allettanti e seducenti.

Arrivati sin qui, so che potrebbe sembrare pleonastico passare in rassegna tutti i titoli… certi protagonisti della rubrica che andiamo a celebrare in fondo sono conosciutissimi, tuttavia in questo caso si è scelto di omaggiare un album che ha lasciato sì un solco profondo nel nostro cuore ma che probabilmente non tutti conoscono così bene, e allora ecco che ci pare doveroso farlo, perchè ogni canzone in “Rosemary Plexiglas” vive di una propria luce ed è in possesso di qualità  intrinseche notevoli, tali che riascoltate ancora oggi mantengono inalterate il loro valore.

Proseguendo nella scaletta, quindi, risulta impossibile non farsi trasportare dall’intensità  e dalle nevrosi apocalittiche di un brano come “84” ““ su cui aleggiano atmosfere orwelliane ““ dove liriche dannatamente personali si infrangono poi all’ingresso di un pianoforte magico che accompagna l’angelica voce della Mazo, prima di rientrare in territori che rasentano il noise. E’ pertanto, questo, un ulteriore episodio saliente, coi suoi saliscendi vertiginosi, quasi un’ultima apoteosi di suoni prima del gran finale affidato a tre canzoni dai toni più intimi e soffusi.

Il trittico si apre con “Golf”, dove Benvegnù di nuovo incanta e culla l’ascoltatore, portandolo in una dimensione onirica, per quella che è la ballata per antonomasia degli Scisma.

L’aria si fa rarefatta e sospesa in “Nuovo”, dove tornano primattori gli archi che si intersecano al suono di una chitarra wah-wah, provocando brividi di commozione, e anche se il significato sembra sfuggire dalle nostre mani (“Vivo l’estasi/vivo ad est, non torno più, tutto è sintetico…. Rido, non mi seno/non torna più/sento che scivola/rimbalza, scivola su di me”), ciò che ci viene trasmesso è comunque una sensazione di forte ebbrezza.

Il finale amplifica ancora di più una componente quasi mistica, puntando sull’essenzialità  e sulla parvenza soprannaturale di parole dapprima sussurrate ma poi sempre più preponderanti. “Poco incline ai r.f.” è introdotta dai tocchi jazzistici del pianoforte della Manfroi, fuoriclasse dello strumento, e pervasa dal canto di Sara Mazo: “Acidificami il corpo/Socchiudendomi le labbra/vedo/vergine bambina, martire/io credo/vergine bambina, martire/umidificami gli occhi/danzo incredula nei sensi…”.  

Si tratta di una chiusura suggestiva e toccante per un album che nonostante non abbia replicato i fasti di altre conclamate band di quel decennio, ha saputo toccare le corde di tanti affezionati sostenitori, assurgendo col tempo al rango di culto.

Ammetto che per una volta ho fatto fatica a rimanere confinato nei panni del recensore, perchè è naturale per me tornare indietro in un attimo a venticinque anni fa, quando ero ancora uno studente universitario infatuato della buona musica e alle prime armi come collaboratore a Radio Popolare Verona, che si ritrovava a seguire da vicino molti di quegli esponenti del rock italiano per concerti, interviste e altre situazioni da vivere col massimo entusiasmo.

E’ proprio quella sfera emotiva, personale, ad aggiungere un punto in più a determinati dischi destinati già  a lasciare il segno: quella forte componente umana presente in una band come gli Scisma, ai quali lego ricordi indelebili di chiacchierate, cene, scambi di battute, risate, cartoline ricevute con mio sorprendente stupore e la condivisione di tanti sogni.

Come dimenticare poi quei primi approcci con il gruppo, quando Paolo Benvegnù venne incontro a me e al mio sodale compagno di avventure musicali Riccardo Cavrioli (da allora fino ai tempi odierni di Indie for Bunnies) e notò subito la sua maglietta dei Radiohead? Era uscito da poco “Ok Computer” e il trascinante leader degli Scisma se ne diceva entusiasta; a pensarci bene, in effetti, ascoltando alcune canzoni si avverte una certa affinità  con il mondo di Yorke e soci!

Oppure il fatto che loro nominassero Franco Battiato, chiamandolo “Maestro”, tra le maggiori fonti di ispirazione, in un momento in cui i nomi tirati in ballo dalle nuove band italiane erano indubbiamente altri.

Si distinguevano in tanti aspetti e sono sempre più convinto che di gruppi come gli Scisma non ne nasceranno ancora molti: è vero, sono durati troppo poco (nel 1999 chiusero il millennio e la loro storia discografica con il bellissimo “Armstrong”, prima di un’estemporanea quanto gradita reunion nel 2015 con l’ep “Mr. Newman”) ma le loro opere rimarranno per sempre ed ogni ascolto sarà  in grado di emozionarci come la prima volta.

Scisma ““ Rosemary Plexiglas
Data di pubblicazione: 4  novembre 1997
Tracce: 14
Lunghezza:  58:44
Etichetta: Catapulta/EMI
Produttore: Manuel Agnelli

Tracklist
1. Rosemary Plexiglas
2. Completo
3. Loop 43
4. Psw
5. Negligenza
6. Centro
7. Svecchiamento
8. Videoginnastica
9. L’autostrada
10. L’equilibrio
11. 84
12. Golf
13. Nuovo
14. Poco incline ai r.f.