Inizia ad affiorare in me una certa stanchezza nel recensire un nuovo album in studio di Neil Young, la stessa stanchezza che pare trasparire dai suoi stessi solchi (o bit). Una stanchezza che non mi pare, ahimè, cosa nuova ma che sta accompagnando il Neil degli ultimi anni, non riferendosi certo alla sua bulimia in materia di pubblicazioni di materiale d’archivio o inedito. Certo non aiuta la moltitudine di uscite discografiche, che solo considerando l’arco tempoale da dicembre 2021 ad oggi si contano in diverse unità .

La mole di materiale è suddivisa tra imminenti ristampe in deluxe version (l’immortale “Harvest”), pubblicazioni di nuovi live d’archivio o bootleg stampati ora ufficialmente, album recuperati dall’oblio (“Toast”) e composizioni nuove (“Barn” ed il presente “World Record”).

Soffermandoci sugli album di inediti, ebbi modo di non “scrivere bene” già  nel 2019 di “Colorado”, un album che ribadisco essere incolore e spompato, nonostante la mole di chitarre sfoggiate al suo interno.

Se pur ripresosi in parte con il successivo “Barn”, con “World Record”, dispiace ma tant’è, siamo nuovamente di fronte ad un lavoro fiacco e di scarsa ispirazione, quasi fosse una brutta copia del già  interlocutorio e stanco “Broken Arrow”. La magia degli album con i Crazy Horse sembra ormai svanita, l’innesto di Nils Lofgren non pare dar nuova linfa al suono e alle idee del nostro ed impalpabile pare la presenza prestigiosa di Rick Rubin in veste di produttore.

Tutto l’album ripete stancamente alcune tematiche e scelte compositive che sembrano ormai, più che topoi , nient’altro che ripetizioni in stanco loop di formule già  ampiamente ed in maniera migliore scandagliate nel suo passato, sia remoto che più recente. Un album confuso anche nell’alternaza di stilemi younghiani ormai codificati tra feroci cavalcate elettriche (ma “Ragged Glory”, solo per citarne uno, era altra cosa) e ballate soffuse , alternaza che in altri periodi storici poteva avere anche una sua forza ed un suo innegabile fascino.

Molti grideranno al miracolo, per salvare quest’album, citando la poderosa “Chevrolet”, dall’alto dei suoi 15 minuti di durata, favoleggiando faville in sede live. Io mi limito invece a sussurrare, senza grida e sussulti, la mia delusione, in attesa che strali di fan mal accoglieranno questa stoncatura, lamentando un ascolto superficiale e tacciandomi con l’epiteto di “scribacchino“.

Non me ne vogliano, ma “World Record” rimane per me un disco insufficiente.

Photo: Ross from hamilton on, Canada, CC BY 2.0, via Wikimedia Commons