Indeciso sino alla fine se cominciare con una citazione Kirkegaardiana o con un onomatopea post -Modernista Morettina, opto infine per riportare un fugace giudizio della mia dolce metà : “Sembra coso, come si chiama? Quello strano”…”…Devendra Banhart!”.

Inutile starsi a scervellare sulle ragioni escatologiche o sui sentieri semantici del pentagramma, spesso le intuizioni che meno “san di latino” sono anche le più azzeccate, ed inoltre è innegabile che un certo fingerpcking ruraleggiante disegna un ligneo ponte fra l’illustre Fiogliodeifiori ed i riccionesi Mr. Brace. Ma come in ogni disco inciso bene, c’è dell’ altro. Così oltre ad un sound giocosamente ricercato, che alterna il colto ed il bizzarro, il diavolo e l’acqua santa, scorgiamo sonorità  lo-fi agresti degne del miglior Mr. Ward e intuizioni quantomeno creativamente colorite.

Ideale per le feste estive, musica per l’ozio e per il dolce poltrire, ma che infondo (ma neanche troppo) nasconde verità  esistenziali in agrodolce. Bello farsi cullare queste serpeggianti chitarre, come il vento fa con le messi di crinale. Ottimi i infine i testi che rivelano una scrittura preparata e naturalmente dotata, audaci i costrutti linguistici, mai banali, spesso ai limiti della licenza, ma incredibilmente incisivi. Restano. Come non ritrovarsi infine nella “teoria delle teste in fiamme: la gioia dei bambini ed il terrore delle mamme” (Ruggine)? E per favore levatemi dalla testa “Salame & Caffè”: già  che sono un po’ ossessivo compulsivo, non riesco proprio a smettere di canticchiarla (sai che spettacolo!).  

Più che meritata la loro passerella al Miami, al fianco di altri eroi dell’ Indie de Noatri.