La copertina di quest’intervista potrebbe essere “l’istantanea di una vita che aspetta la propria occasione, per troppo tempo seduta ai tavoli anonimi di un Caffè o nelle fredde stanza di un Hotel”. Ma l’occasione di fronteggiare il destino, di non arrendersi ad un “mondo triste, che pensa solo al denaro” può essere la pubblicazione di un album (eponimo). Di questo e di altro ancora, di Pavese e Boll, di Bacharach e Divine Comedy, dell’amore e delle sue conseguenze, abbiamo parlato con Fabio De Min, vocalist dei Non Voglio Che Clara.

Benvenuto su Indiefordummies, innanzitutto. Potresti spiegare brevemente “la componente femminile, l’esclusività , la negazione e la volontà ” che contiene il vostro nome?
E’ poco più di una scusa per trovare un senso ad una cosa che non ne ha. Quel nome era una frase letta da qualche parte che solo in seguito ci ha portato a qualche riflessione. E abbiamo capito che ci piaceva proprio perchè può nasconde vari risvolti, si può piegare a diverse interpretazioni.

Com’è nata la tua passione per la musica? Quale è stato il percorso che, dalle montagne di Belluno, vi ha condotto a Tenco, Paoli, Battisti, ecc. ma anche a Pavese, Boll e Hemingway?
Siamo semplicemente delle persone curiose, e la curiosità  molto spesso ti porta a fare incontri piacevoli. Ho sempre scritto in italiano pur con un background musicale anglo-americano, finchè ad un certo punto mi sono chiesto se non ci fosse qualcosa da scoprire anche fra gli autori di casa nostra.
Per quanto riguarda gli scrittori da te citati posso dirti che trovo Boll straordinario nei suoi romanzi costruiti sull’unità  di tempo, mentre Pavese ed Hemingway mi hanno sempre colpito per la loro capacità  di rendere importanti delle situazioni normali.

Mi sembra che il vostro albo precedente abbia risentito più direttamente dell’influenza di Bacharach, penso soprattutto al brano ” Hotel Tivoli “e a ” Il Nastro Rosa “, mentre in ” NVCC ” le componenti più esplicitamente pop del vostro suono tendano maggiormente verso una forma cantautoriale forse talvolta meno accessibile, ma altrettanto ricca di fascino ( e qui mi viene in mente la splendida ” Ogni Giorno Di Più ” ) .
Quando eravamo in studio con il materiale di Hotel Tivoli ci siamo accorti che i brani muovevano verso un certa direzione e abbiamo deciso di assecondarla, col risultato di un disco, come dici tu, più pop. Il nuovo album ha una maggiore coesione, gli arrangiamenti orchestrali sono spesso parte strutturale del pezzo.

” L’Oriundo ” dimostra, ” una volta di più “, la vostra capacità  di narrare in musica drammi individuali trasportandoli in una dimensione collettiva. Il sogno, le speranze, le lotte per raggiungere i propri obbiettivi del giocatore che arriva in Europa per fare fortuna sono, tutto sommato, le stesse che prova l’artista che si esibisce sul palcoscenico ogni sera e insieme quelle dell’innamorato che riflette sulle ” pene d’amor perdute “. In un certo senso la figura dell’ ” Oriundo ” mi ricorda quella di Antonio Pisapia, il calciatore protagonista dell'” Uomo in più “, esordio cinematografico del regista Paolo Sorrentino. C’è la stessa intensità  nel tratteggiare il dolore solitario dell’individuo che lotta con la realtà  per affermare i suoi desideri. Mentre però il personaggio del film, disperato per i suoi continui fallimenti rinuncerà  a vivere, nell’ ” Oriundo ” come nella maggior parte delle vostre canzoni, mi sembra ci sia più un’amara rassegnazione, quasi una ” semplice ” constatazione della complessità  della vita che la volontà  di gettare la spugna o compiere gesti estremi.
Il nuovo disco parla principalmente di disincanto, in cui serenità  e malessere si alternano. Che la vita sia una questione complessa non è certo una nostra scoperta, abbiamo solo cercato di fotografare alcune situazioni, con una soggettiva sempre diversa.

La musica “triste” è il riflesso di un mondo in cui “si pensa solo al denaro”? Un mondo in cui tutti “abbiamo perso qualcosa per strada”?
Devo dire che faccio un po’ fatica ad abituarmi all’idea che la nostra sia “musica triste”, perchè nè io nè gli altri componenti soffriamo particolarmente di tristezza. Anche il silenzio con cui il pubblico segue i nostri concerti è un qualcosa a cui è difficile abituarsi.
La scrittura ha in un certo modo un valore catartico per cui la tristezza è eventualmente circoscritta alla creazione del brano. Il pubblico, proprio per la usa caratteristica di spettatore, si attende invece ogni volta una rappresentazione che comprenda quella tristezza alla quale tu hai smesso di pensare.

” Cary Grant ” è per il sottoscritto la migliore canzone di ” NVCC “, perchè nei riferimenti all’hitchcockiano ” Notorius ““ L’amante perduta ” e ad ” Hannah E Le Sue Sorelle ” c’è a mio avviso tutto l’universo dei Non Voglio Che Clara. La difficoltà  dell’amore, le inspiegabili direzioni che esso prende, le sue infinite capacità  di rendere la vita bellissima o infernale o addirittura di toglierla ( come accadrà  al nazista innamorato di Ingrid Bergman ). E la musica. Quando Cary Grant fa ascoltare una ” canzone d’amore ” alla Bergman, appena conosciuta, mezza alcolizzata e con la fama di mangiauomini senza sentimenti, lei gli risponde sprezzante che ” le canzoni d’amore mi fanno solo ridere “. Ma l’amore, deriso per paura più che per reale convinzione, le salverà  la vita. Così come gli eventi di cui saranno protagonisti i personaggi del film di Allen li porteranno a raggiungere la felicità  che desideravano, non senza dolorose sofferenze, ripensamenti, abbandoni e riconciliazioni. In pratica, tutto quello che racconti nelle tue canzoni.
Intanto ti ringrazio per i puntuali accostamenti. Come detto poco fa “Non voglio che clara” non è un disco di canzoni d’amore, la componente comune dei brani si rivolge più al letargo dei sentimenti, al disinganno. Tuttavia si chiude con un Cary Grant che vola in Brasile, tradito più dalla propria ostinazione al sentimento, che dal sentimento altrui.

Dopo tutte queste citazioni cinematografiche è inevitabile chiederti quanto il cinema sia importante nella tua vita. Quali sono i tuoi registi preferiti e perchè?
E’ una passione che in passato rivaleggiava con la musica. Poi crescendo l’ho un po’ trascurata. Preferisco i registi che hanno la capacità  di esprimere un sentimento, servendosi di una storia , come De Sica o Chaplin. Non mi piacciono quelle cose dove il “concetto” si antepone all’emozione e che necessitano di un impegno eccessivo da parte dello spettatore. Lo stesso discorso vale per la musica.

Come mai hai scelto di incentrare la poetica di NVCC quasi esclusivamente attorno all’amore e le sue conseguenze?
Non si tratta di una scelta programmatica. Scrivo quando ne ho voglia e quando mi sembra di avere qualcosa da dire. Evidentemente questo capita quando la mia curiosità , il mio pensiero, si soffermano su determinati argomenti, piuttosto che su altri. Ma raramente considero l’amore come un’ influenza diretta di quanto scrivo.

Anche se io vi avvicinerei più ai Perturbazione, sovente siete accostati ai Baustelle, un gruppo di cui ho amato profondamente i primi due album, ma che negli ultimi tempi non nascondo che mi stia lasciando un po’ perplesso. Li ho visti dal vivo almeno tre volte negli ultimi mesi( l’ultima all’arena La Palma a Roma insieme a voi e Offlaga Disco Pax ) , ma ogni live mi è sembrato più fiacco del precedente, come se questa furiosa volontà  – che non condanno, sia chiaro, ma su cui mi viene da riflettere – di farsi conoscere il più possibile attraverso i concerti, provochi una comprensibile mancanza di energia del gruppo. In più ci si è messa la discutibile scelta di suonare al Festivalbar, una platea che non ha veramente nulla in comune con le storie di adolescenza torbida e dolce violenza del gruppo di Montepulciano ma è piuttosto alla ricerca di facili emozioni impacchettate e pronte all’uso”… Comprendo che per un musicista la visibilità  sia una cosa molto importante, ma ha senso cercare di suonare ovunque e dovunque a scapito della qualità  delle proprie performance o in luoghi dove non credo possano trovare molti estimatori? La domanda esula dalle scelte dei Baustelle, ovviamente.
Per risponderti partirei proprio dalle tue considerazioni sui Baustelle invece. Perchè i meccanismi che regolano la crescita di un progetto, di un gruppo, a volte dipendono ben poco dalle scelte e dalla volontà  del gruppo stesso. Per progetti che non godono di un supporto pubblicitario imponente, suonare dal vivo diventa un po’ l’unico sistema per far conoscere la tua musica e cercare di far entrare qualcosa in cassa. Diventa una scelta promozionale obbligata, che porta con sè il rischio della sovraesposizione, ma che risulta quasi inevitabile, date le cifre di vendita ridicole sul quale tutto il sistema discografico si regge. E’ impensabile portare avanti un progetto contando su un pubblico di nicchia, per questo anche manifestazioni non ideali come Sanremo o il Festivalbar possono diventare dei crocevia importanti per poter tenere in piedi tutta la baracca.

Vivendo tra i tavoli di un Caffè e le camere di un Hotel, non avete un poco “nostalgia di casa”?
Hotel Tivoli parlava anche di casa nostra. Una cosa che mi piace molto di quel disco è l’esser riusciti a costruire attraverso il titolo una sorta di contenitore, con un immaginario cinematografico in cui sette brani del disco possono considerarsi altrettante stanze di un albergo. Lì i protagonisti si rifugiano per tirare le somme della propria esperienza. Sono tutte storie di lontananza, e per questo, inevitabilmente, legate al nostro posto di origine.

Quali gruppi stai ascoltando ultimamente? Cosa consiglieresti ai lettori di indiefordummies?
Negli ultimi mesi ho seguito poco le nuove uscite quindi mi affido ai soliti, Kinks, Beatles, Phil Spector, più un disco di Motown per quando siamo in tour.
Consiglio di infilare nell’autoradio “What becomes of the broken hearted” di Jimmy Ruffin e “You really got a hold on me” di Smokey Robinson.

Ami molto il soul e le sonorità  sixties quindi”…e per quanto riguarda autori e bands più recenti?Personalmente trovo che la musica dei NVCC abbia dei punti in comune con gente come Divine Comedy, Richard Hawley, i primi Belle & Sebastien e certi compositori francesi come Yann Tiersen e Benjamin Biolay”…
Più che amare il soul, ti dirò che certe cose targate Motown dei primi anni sessanta sono scritte e arrangiate magnificamente e inoltre hanno un carattere davvero epocale. Credo che per certi versi sia stato un momento di svolta irripetibile e per questo lo trovo molto affascinante.
Riguardo ad autori più recenti, il gruppo che ho amato di più e che seguo da quindici anni è quello dei Flaming Lips.

Prossime date dal vivo?
Continueremo a promuovere il disco per tutto l’autunno e probabilmente parte dell’inverno. L’elenco delle date aggiornato si può trovare sul nostro sito.

Che aspettative hai riposto in ” NVCC “? Pensi che il disco possa avere una buona diffusione anche al di fuori del circuito indipendente?
La nostra aspettativa era di fare un disco che per prima cosa ci soddisfacesse appieno. “Hotel Tivoli” era andato molto bene e il nuovo disco sta andando meglio, per cui siamo contenti.
Riguardo alla sua diffusione su più vasta scala, dipende da tutta una serie di fattori sul quale è difficile avere il controllo.

Ma il sogno di “vivere” solo con la vostra musica resta inarrivabile nei tuoi pensieri o intimamente credi ci possa essere qualche possibilità ?
Tutto è possibile, e in gran parte dipende da quali obbiettivi ti poni o dalle priorità  che definisci quando arriva il momento delle scelte.

P.S. : intervista scritta a due mani da Helmut & PaMeLlO