La verità  è terribilmente semplice se la guardi dritta in faccia. Semplice come l’odore della pioggia quando attraversi un prato troppo grande e troppo verde. Come quelle 2 parole sul pezzetto di carta stropicciato che proprio non avresti dovuto ritrovare in fondo a quella tasca. Come un’alba che filtra tra le quattro pareti di una stanza d’albergo mentre ti si accartocciano attorno, e diventi un puntino isolato su un pianeta dove tutti sono di nuovo nessuno. Un suono stupido come quello di un telefono, che si trasforma in una cosa fredda e tagliente, odiosa. La tua ombra allungata sull’asfalto, e più acceleri e più ti si attacca addosso nera e strisciante e non puoi, non puoi liberarti neanche con tutto quel vento addosso. E i colori del cielo e di tutto quanto, quando non potresti davvero saperlo ma lo senti che stà  succedendo tutto adesso e per l’ultima volta.
Sto diventando troppo vecchio per questo genere di cose ma ci proverò lo stesso, dopotutto io e Damien siamo coetanei, posso farcela anche io.

E’ il passato vedete. Anche Mr Rice l’ha capito, forse per questo i suoi dischi sono intrisi di passato come poche cose al mondo. Ce l’hanno insegnata proprio male questa cosa, è tutta sbagliata. In realtà  il Passato, lui, è l’unica cosa che davvero non passa. Mai. Sei tu che guardi altrove quando è più facile. Il passato non è morto, è forse l’unica cosa davvero viva. Il presente è fatto di passato.

Prendetelo così questo nuovo disco di Damien Rice. Tra qualche anno diventerà  ancora più vivo e pulsante probabilmente. E se non vi ci ritrovate più di tanto puo’ anche darsi che sia perchè state guardando dalla parte sbagliata. Vi capisco. Lo faccio anche io certi giorni. In “9” c’è tutto quello che c’era in “O”, meno ruvido quanto volete, diverso da certe angolazioni ma la sostanza è quella. L’esordio di Damien Rice era composto fondamentalmente da una manciata di navigati demo, ripuliti ma neppure troppo per l’occasione. Non deve essere stato facile riuscire a non aggiungere qualcosa in questi 4 anni. Troppo spesso si confonde la quantità  con la qualità , aggiungere qualcosa con l’acquisire qualcosa in più è un processo tutto tranne che automatico e scontato. Bravo Mr Rice, sono anche io un ammiratore dell’arte del togliere piuttosto che dell’aggiungere. In fondo anche le detonazioni distorte di “Me, My Yoke and I” o “Rootless Tree” non sono cosa nuova a chi del cantautore irlandese aveva seguito le performance live o ricorda l’intensa “I Remeber” di “O”.

Ha le idee ancora chiare, si autoproduce Damien Rice, si prende il suo tempo, si guarda intorno senza fretta, succedono delle cose, altre non succedono e tutto cambia comunque. Ma poi riprende in mano la solita vecchia chitarra, tira sù al volo un home studio ed eccolo di nuovo davanti ai microfoni con l’eterea Lisa Hannigan e compagnia. Facci un favore Damien, non inventarti niente che non sia già  qui. Vogliamo bene alle tue canzoni così come sono, perchè sono così come sono. Anche tra altri 4 anni. Certe cose cambiano, altre rimangono le stesse…giusto?

Credit Foto: Lauraeley2316, CC BY-SA 4.0, via Wikimedia Commons