E’ notte. In un locale buio e fumoso si aggirano strani personaggi dallo sguardo ambiguo e misterioso. L’atmosfera è cupa ma non minacciosa e la musica satura l’aria.
Regna una calma innaturale, il tempo è sospeso come se stesse per accadere qualcosa.
Ma invece non succede proprio niente.
E’ questo in sostanza quello che mi trasmette il nuovo album dei Two Lone Swordsmen, uscito il 16 Aprile scorso per la loro etichetta, la Rotters Golf Club: una sorta di frustrazione e delusione finale. Benchè ascoltato diverse volte al lavoro, anche se forse in modo distratto, quest’album continuava a restarmi totalmente sconosciuto. Ho dovuto chiudermi in casa e mettermi lì ad ascoltarlo senza fare nient’altro per capire di cosa si trattasse.


Non è assolutamente quello che mi aspettavo da Andy Weatherall e Keith Tenniswood che devono la loro notorietà  alle loro esperienze come Dj e produttori di musica house. Rispetto agli album precedenti questo Wrong Meeting costituisce un evidente punto di discontinuità .
Sicuramente è un album rock. Nella sezione ritmica il basso è il protagonista assoluto, ancora più che in passato ma soprattutto la parte vocale ha un maggiore risalto rispetto alle prove precedenti mentre gli elementi di elettronica sono decisamente trascurati a favore di un suono più tipicamente rock sottolineato dalla chitarra graffiante di Weatherall.
Basta ascoltare la title track per rendersene conto.


Il filo conduttore dell’album è cmq un ritmo ossessivo, volutamente monotono e ripetitivo, che caratterizza tutte e 9 le tracce e un leggero profumo citazionistico che avvolge il tutto.
La traccia di apertura Patient Saints non invoglia decisamente all’ascolto, essendo forse la più debole dell’intero album e, come dice il titolo, ci vuole la pazienza dei santi per arrivare al secondo pezzo. Fortunatamente ci si risolleva subito passando per Rattlesnake Daddy fino a No Girl in My Plan che non sfigurerebbe nella soundtrack di un film di Tarantino.
Bellissima Evangeline, con un attacco travolgente di chitarre riverberate e un irresistibile ritmo rockabilly mentre subito dopo Work at Night ci riporta verso atmosfere più rilassate e intimiste, vagamente Suede primi anni ’90.
Puritan Fist invece ricorda moltissimo alcuni pezzi più sperimentali dei dEUS, soprattutto nella parte vocale. Chiude l’album la bellissima Get Out Of My Kingdom , forse il pezzo più valido dell’intero disco.


Un album che nonostante sia permeato da un’atmosfera unitaria rimane comunque piuttosto discontinuo e richiede una notevole concentrazione per essere apprezzato. Anche se volutamente realizzato in modo da spiazzare i fans e tracciare una nuova rotta nella loro sperimentazione musicale, forse dai TLS ci si sarebbe aspettato di più.