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Non è sempre facile ritrovarsi. Gli specchi non aiutano, i posti maledetti prima ti cambiano e poi quando ci ritorni te lo sbattono in faccia che quello diverso sei tu anche se sarebbe troppo più facile dire il contrario, sei triste a rimettere i piedi in delle scarpe che non ti stanno più e non lo so se fà  più male a te o agli altri vederti così. Infatti è possibile, anzi è decisamente probabile che senza saperlo, ad un certo punto il tuo meglio l’hai già  dato. Diciamocelo un estate dura epr sempre solo se ha 16 anni. E’ una questione di tempi, mica sei solo tu.
Voglio dire ‘Exit Planet Dust’ e ‘Dig Your Own Whole’ piazzati così, in mezzo a quel crollo del plasticoso ottimismo degli anni 80 detto anche grunge, sono stati tipo l’astronave di E.T. che esce fuori a metà  di Full Metal Jacket.
Quando i tuoi antieroi si infilano in bocca un fucile improvvisamente i Cure ti sembrano l’unico gruppo plausibile del decennio precedente. Personalmente c’era davvero bisogno di quei Rowlands e Simmons di Manchester pronti con la ricetta definitiva per l’elettronica degli anni 90, quella che sdoganata dai superimpasticcamenti recuperava la dimensione più umana del clubbing, portandosi dietro chissà  come certa gioiosa psichèdelia molto 70ies. Beh che fai esce il nuovo dei Chemical Brothers e ci racconti quelli vecchi? Eh, no lo dicevo all’inizio che non è facile ritrovarsi.
E se vi dicessi che a un decennio esatto da quel ‘ Dig Your Own Hole’ che li portò in orbita con un salto iperspaziale a strisce luminose degno di guerre stellari, i nostri riescono ad autocitarsi senza riciclarsi? è o non è il piccolo miracolo delle vecchie scarpe che ti stanno di nuovo, del posto che è cambiato insieme a te rimanendo in qualche modo sempre lo stesso? E’ possibile che i Chemical Brothers raramente abbiano sbagliato un singolo, ma è altrettanto possibile che negli ultimi anni si siano un po persi. Bene con ‘We are The Night’ si ritrovano nel senso letterale del termine, e perdendosi sul filo dei ricordi ci impacchettano nel consueto rettangolino di plexiglas trasparente il loro lavoro globalmente migliore degli ultimi anni. Una bella scintilla là  dove la miccia sembrava finita.
Forse è vero, ad un certo punto ti rendi conto che non c’è una rotta da seguire e allora tanto vale lasciarsi andare. Ed è così che escono le cose migliori. Più divertente degli LCD Soundsystem, meno costruito dei Daft Punk, se davvero avete amato l’era di ‘Dig Your Own Hole’ qui ci troverete delle autentiche citazioni sonore e non: per dire ci sono dei campionamenti nella title track ‘We are The Night’ che sanno tanto di auto-campionamenti. Ma invece di suonare impolverato l’effetto è quello dell’istant classic, genuino e spensieratamente lontano dalle forzature del nuovo a tutti i costi, i chemical brothers se ne fregano di stupire e non si prendono grossi rischi ok, ma semplicemente si mettono in console e fanno quello che hanno sempre saputo fare meglio. E funziona alla grande.
Collaborazioni comprese, i Klaxon calzano a pennello nel big beat di ‘All Right Reversed’ infilando quel chorus da arena che tira avanti lineare fino al bell’inserto elettronico centrale che smonta che rimonta il tema principale giocando con sintetizzatori e campionamenti. Oserei quasi dire classe, ma con la tecnica e i colori dei mattoncini lego.
‘Saturate’ è un bel pezzo di elettronica radiosa, costruita su una struttura pop-rock. Ci potreste quasi cantare è una canzone bella e fatta, e l’inaspettata batteria che esplode dentro a quell’attacco minimale con una rullata molto 70ies rock (pare uscita da un vecchio pezzo dei Who) altro non è che la dimostrazione che quando ci sono le idee basta poco. Solare in una parola sola. E via si gioca con l’house-hip hop di ‘Do it Again’, ‘Das Spiegel’ ha l’andamento lo-fi melodico e sonoro del videogame anni 80. Per la precisione quella tastiera che segue il tema principale per me rimane una Bontempi system five. E devono venirci Rowlands e Simmons in persona per convincermi del contrario.
Divertente sempre, giocoso fila via come una pallina da flipper in mezzo alle luci colorate, questo cd deluderà  pure gli avanguardisti del codice binario. Ma si rivela uno dei dischi più ariosi, freschi e divertenti dell’anno.
Con tanto di chiusura dolceamara, costruita delicatamente e a regola d’ arte intorno al cantato dei Midlake, ‘The Pills Won’t Help You Know’ si ferma e guarda indietro l’ultima volta, quasi un saluto conclusivo ad un disco che potremmo definire elegiaco verso quell’elettronica che è stata.
E’ tempo di tornare fuori, battere gli occhi e sotto il sole troppo forte del riscaldamento globale. E tutto il resto. Nessuna astronave colorata con alieni dalle dita luminose è mai uscita fuori in mezzo a Full Metal Jacket.
Ma da qualche parte, sotto le luci colorate dei neon, noi siamo la notte. Ancora una volta.