Islandesi in trasferta a Parigi: al Trabendo sbarcano Seabear e Mùm, autori, i primi, di uno dei dischi d’esordio più piacevoli e sorprendenti dell’anno e protagonisti oramai affermati, i secondi, di una delle realtà  musicali più ricche e interessanti degli ultimi tempi.

Primi a salire sul palco sono i Seabear. Le tonalità  color pastello del loro primo disco dal vivo acquistano spessore e danno vita ad un mondo animato da xilophoni, campanellini e da qualunque altro tipo di giocattolo e oggetto (pentolini e bicchieri compresi) che prendono vita e suonano morbidi e fatati. E’ una realtà  sbilenca, spontanea e così naif che verrebbe voglia di salire sul palco, prendere un giocattolo a caso e cominciare a suonare. Rispetto al disco l’esecuzione è un po’ zoppicante e meno pulita, sarà  anche l’alcol che non deve essere mancato nel backstage e un tour che, viste le occhiaie di Sindri Sigfùsson (titolare unico del marchio Seabear nonostante sul palco si presentino in sei), è più festa con gli amici che lavoro, ma tutto è così naturale e delicato che dopo il primo pezzo si guadagnano tutta la simpatia dei presenti. E’ un live leggero che ti prende per mano, ti offre un maglione e una sciarpa di lana e ti trascina su una nuvola bianca in un freddo e limpido cielo islandese. Finisce il concerto e ti sembra di avere dei nuovi amici: ci vorresti andare a prendere una birra a fine serata con i Seabear, scambiare gli indirizzi mail e rivedersi, prossima estate, in Islanda.

I Mùm salgono sul palco nella nuova formazione a sei, niente più gemelle, ma altre due ragazze (peraltro altrettanto carine) alle prese con violoncello e voci. Se l’ultimo “Go Go Smear The Poison Ivy” rivelava qualche incertezza, quasi fosse un momento di passaggio, dal vivo i Mùm dimostrano di essere definitivamente approdati a nuovi lidi: siamo dalle parti dove si intrecciano pop e folk, canzoni insomma, dove l’elettronica è defilata a un ruolo di contorno e ampio spazio è invece lasciato a strumenti, melodie e voci, quasi sussurrate e dolci che più non si potrebbe. Da una trama complessa e ricchissima di suoni ““ i Mùm portano sul palco qualunque tipo di strumento si possa immaginare nella gamma che va dal banjo al glockenspiel- emergono canzoni apparentemente semplici, con una struttura nitida e ben definita. Non ne risente affatto però il tasso emozionale del tutto, nonostante in scaletta non compaia neppure un pezzo del gioiello di famiglia “Finally We Are No One”: alla seconda canzone, “Moon Pulls”, sul Trabendo cala un silenzio magico e irreale, che amplifica le atmosferee di un’isola fredda che torna a scoprire luce e colori. E’ un live allegro e sereno che mai mi sarei aspettato, in cui c’è spazio per sorrisi, battute, perfino per qualche passo di danza e per una “I Was Made For Lovin’You” dei Kiss accennata con i flauti, quelli che si suonavano alla scuola media, alla fine di un pezzo.
Sembra che i Mùm abbiano definitivamente messo da parte i recenti tentennamenti, assumendo una fisionomia più marcata e definita. La nuova formula è quella del pop applicata a latitudini polari, le emozioni, però, restano le stesse della prima volta che abbiamo ascoltato “Finally We Are No One”.