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Uno poi dice che crescendo vuole affinare i suoi gusti, inizia a sperimentare soluzioni musicali nuove, azzarda le acidità sonore più atroci e finge di appassionarsi ad una ‘scena’ che in realtà tutto sommato l’annoia. Però una sera torni a casa stanco dopo l’ennesima giornata a base di tempi dispari e sofisticherie assortite ed hai voglia solo di una semplice, confortevole armonia. Niente di complicato, semplicemente una melodia lineare, come quelle che sciolgono i Page France ad esempio. I Grand Archives vengono da Seattle, sono guidati da Mat Brooke, l’altra metà dei Carissa’s Wierd e dei Band Of Horses dei tempi di “Everything All The Time”, e sono il materasso morbido dove sprofondare in qualsiasi momento della giornata. Pop-rock elettro-acustico, orchestrale e americano; il che vuol dire sostanzioso e sognante allo stesso tempo, ma soprattutto di qualità stratosferica. In tasca hanno una manciata di Svezia e di tutta quella musica gentile che fa fiorire margherite negli amplificatori, ma conservano un lato rude, un romanticismo che sfocia in ballate perfette come in “Swan Matches”, grazie ad una mai trascurata e sanguigna sezione ritmica. Echi di “Everything All The Time” sono sparsi un po’ ovunque (“Sleepdriving” e la sua coda su tutte) con il loro carico di inquietudine ed urgenza che rese quel disco un mezzo capolavoro. Canzoni come “George Kaminski”, chitarra-armonica e dilatazioni, dovrebbero essere amplificate in filodiffusione ovunque, per prendersi il tempo necessario di fermarsi, stendersi e mettersi a guardare il cielo, solo per il piacere di farlo. I Grand Archives sono la casa dove torni dopo aver girato in lungo ed in largo; sono la carezza a cui non si sfugge, la colonna sonora del prossimo viaggio quest’estate. Destino vuole che ora stia piovendo e ciò aumenta ancora di più il calore rincuorante di quest’album d’esordio. La differenza con tanti dischi similari è che questo senti che ti appartiene, fin dal primo ascolto. |
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