Correva l’anno 2002, io ero appena ventenne.
Erano i miei anni in cui c’era il tempo di “pensare solo alla musica”.
Erano gli anni in cui usciva “Neon Golden”, capolavoro assoluto di indie/pop-tronica dei Notwist.
Diciamo che io non è che ne capivo molto, ancora, di musica, però quel disco, nella mia mezza ignoranza, lo adoravo. Successivamente comprai anche “Shrink” (ovviamente durante una vacanza in Germania, perchè faceva più cool), ma continuavo a ballare “Pilot” e a commuovermi per il video coi conigli di “Pick Up The Phone”.
Amore, Estate, Amicizia, Emozioni, Musica. Ecco, con queste premesse, immaginatevi cosa vuol dire un nuovo disco dei Notwist.
Finalmente, dopo sei anni, eccoli che ritornano.
Chi non ha vissuto in modo intenso “Neon Golden”, non credo che possa capire a fondo l’attesa per questo nuovo lavoro, “The Devil, You + Me”. Con gli anni, i Notwist sono diventati quasi dei Padri Fondatori a cui rendere grazie per tutta quella musica che sta tra l’elettronica e il pop, dalla minimal al indie svedese, perciò ci si aspettava grandi, enormi cose uscire dal cilindro dei nostri teutonici.

Poi inizia a girare in rete il loro nuovo singolo “Good Lies”.
Bello, dolce e freddo, con quel sapore mitteleuropeo che solo i Notwist sanno regalare. Però così in stile notwistiano. Però così simile alle tracce di “Neon Golden”, che sembra quasi una b-sides del vecchio album.
Insomma, ci sono rimasta un po’ male. Specialmente dopo aver ascoltato tutto il disco per intero. Assolutamente, il loro suono è inconfondibile, ma non mi hanno colpito come mi aspettavo che facessero: “The Devil, You + Me” è un gran bel disco, ma non dice troppo di nuovo rispetto al 2002.
Eccetto gli arrangiamenti orchestrali di Andromeda Mega Express che si fanno sentire senza far troppo rumore, vedi in “Hands On Us” e “Alphabet”, mescolati alle consuete distorsioni.
Nuova è anche la chitarra acustica di Markus Acher in brani come “Gloomy Planets” e la titletrack “The Devil, You + Me”, debitore del miglior folk d’autore più che dell’elettronica dei precursori.
I toni sono soffusi e delicati, sussurrati in alcuni punti, come “Sleep” che alterna voce a scuri campionamenti elettronici, per poi passare invece a brani più vicini alla ballata, dalla stessa “Good Lies” d’apertura, a “Boneless” dove emerge la loro vena più pop, maggiormente assimilabili ai lavori che Acher ha portato avanti in questi anni in casa Morr Music, o ai vecchi dischi degli Stereolab.
Ancora chitarra acustica, invece, a chiudere il disco, “Gone Gone Gone”, che è quasi un avvertimento: “Noi, Notwist, siamo tornati, ma in questi sei lunghi anni, siamo profondamente maturati”.
Anche se il risultato, non mi finisce come speravo. Sarà  che i Notwist, in questi sei anni si sono dilettati in mille altri progetti, dai 13&God ai Lali Puna e Ms.John Soda di Marcus Acher, forse lasciando la “normalità ” proprio al gruppo da cui tutto è nato, gli stessi Notwist.
Traccia dopo traccia, ascolto dopo ascolto, è come se dovessimo (o volessimo) scoprire qualcosa tra le righe che non riesce a disvelarsi, come se cercassimo un perchè sotteso sotto miliardi di passaggi nel lettore cd.
Eppure è un disco che va ascoltato nella sua interezza, sicuramente non immediato, profondamente malinconico, che continuerò ad far suonare.

Photo Credit: Patrick Morarescu