Verso le 22,30 ad attenderci nell’ampio parcheggio dell’ex cinema Duel ci sono un freddo iperumido e poche decine di persone. Il nerboruto parcheggiatore ci rassicura affabilmente sull’eventuale afflusso di gente di lì ad un’ora. Si vede che il tizio la sa lunga, perchè man mano che il tempo passa, la sala 3 del Duel va lentamente riempiendosi. La ‘sensazione’ che circonda l’arrivo di Fujiya & Miyagi è tanta, motivata più dall’hype che gira intorno al duo – sarebbe meglio dire quartetto – inglese, che alle effettive capacità  dei nostri eroi. L’esibizione di stasera è un’anticipazione del Kaleidoscope Festival, rassegna musicale giunta alla sua quarta edizione, che il 26 Dicembre regalerà  vibrazioni elettroniche al pubblico pertenopeo, memore delle belle serate dell’anno passato, quando Apparat fu l’attrazione principale.

Dopo aver appreso della cancellazione dell’esibizione-spalla di Swim, decidiamo di affogare il dispiacere in una scialacquata nonchè tristissima birra chiara.
Non appena scocca la mezzanotte, i quattro di Brighton s’apprestano a salire sul palco. Senza particolari presentazioni si parte con la canzone simbolo di Fujiya & Miyagi, quella ”Ankle Injuries”, che, come un messaggio neanche troppo subliminale, verrà  riproposta a fasi alterne durante tutto il concerto. David Best (Miyagi) sospira al microfono, lasciando ampio spazio alle pulsazioni del basso di Matt Hainsby e alla monocorde batteria di Lee Adams, il quale, a dire il vero, poco aggiunge all’esibizione live rispetto ai beats del disco. Simpatici giochi visuali vengono proiettati sul telone steso alle loro spalle e, tra un Pac-Man d’annata e Lego virtuali, scivolano indolenti le canzoni di “Lightbulbs” – ultimo lavoro pubblicato quest’anno – da “Knickerbocker” a “Pussyfooting”, passando per le atmosfere rarefatte di “Goosebumps”.
Tra una canzone e l’altra ci si diverte e si balla al ritmo delle battute sparate dalle programmazioni di Steve Lewis (Fujiya), senza pensare più di tanto al fatto che pare di essere all’interno di un’unica lunga traccia: l’importante stasera è aver creato un filo tra Napoli ed i dancefloor glamour di mezza Europa, per cui al pubblico ed a noi poco interessa che le filastrocche leggerine in salsa kraut-pop si dissolvano nell’aria nel giro di un cuba libre. Trent’anni di musica elettronica vengono rimasticati e riassunti in poco più di un’ora di concerto, comprensiva di un bis omaggio ad ”Ankle Injuries”, martoriata e rivisitata in chiave maggiormente percussiva grazie al ‘basso’ in crescendo di Hainsby, che trasforma la chiusura in una festa rumorosa ed iperattiva.

Di questo concerto conserveremo il ricordo di un amalgama ordinatamente suonato, giocoso nel non prendersi mai troppo sul serio, incalzante quando decide che è giunto il momento di smuovere molecole ingolfate dalla staticità  quotidiana. Godibile live anche solo per passare una serata diversa, veloce diversivo per depressurizzazioni da pre-shopping natalizio. Mancano guizzi geniali o canzoni assassine, ma in fin dei conti altro non chiedevamo che di muoverci con gusto nel mare affollato del dissapore giornaliero.

Per la foto si ringrazia fAnny.

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Recensione “LIGHTBULBS”