Ben Kweller
Changing Horses

Credo si possa dire che “Changing Horses” è un album country.
Country è un facile sinonimo di “‘cheesy’, quel termine che Urban Dictionary definisce come il “‘provarci troppo da essere inautentico’, “‘involontariamente kitsch e mediocre per tutti tranne che per i suoi fan’, “‘qualsiasi tipo di estetica, musicale e non, esposta al ridicolo’. Ecco, per me il country è cheesy, l’equivalente d’oltreoceano della canzone neomelodica italiana. Staranno messi meglio di noi, ma qualche caduta di stile tocca pure a loro.

Il talentuoso Ben Kweller ha fatto un album country versione bicicletta-alle sette-di sera-di fine estate, e si salva solo per quello. E’ il tipo di musica che la tira alla lunga, un po’ diverte, ma che non sempre riesce ad andare oltre il suo essere di genere e quindi costretta a citare se stessa. A tratti l’ascoltatore diventa proprio facoltativo: “Ballad Of Wendy Baker” è un appunto intimista che Ben Kweller canta a se stesso, “Fight” è un coro di mormoni impazziti e “Gypsy Rose”, nonostante sia più strutturata e interessante, scade inevitabilmente nella sbronza messicana, quasi da protocollo. Se la voce di Kweller fosse meno ingenua e naif il risultato riuscirebbe a superare le sue deboli premesse, ma non sempre ne è all’altezza.

Ed è pure fuori tempo massimo, perchè se qualcuno gli avesse chiesto di partecipare alla colonna sonora di “Juno”, la sua “Things I Like To Do” ( I like listening to my favourite music when I’m on my bus, but most of all I like liking you) sarebbe la classica canzone che ogni nerd degno di questo nome avrebbe googlato il giorno dopo trasformandola nel gioiello mistico del suo i-Pod.

Alla fine a me piacciono gli album che fanno vedere i pomeriggi d’America, anche se sono tutto banjo e chitarrine, e dovrei convincermi che non è un peccato essere di buonumore e cheesy, ma proprio non ci riesco. Quantomeno, non per la mezz’ora di “Changing Horses”.

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