I KIK sono dei salmoni. Ovvero: Se prendiamo le giovani band inglesi che si affacciano sulla scena di questi tempi e li paragoniamo a trote che si lasciano trasportare dal corso del fiume che sfocia nell’elettro-rock-qualcosa, tutti fieri delle loro macchinette analogiche e dei loro effetti digitali tanto di moda, capirete perchè questi 5 ragazzi di Bath sono dei salmoni. I loro riferimenti musicali, dichiaratissimi, sono nati più di centanni fa, e gli interpreti più significativi, come ad esempio Blind Willie Mc Tell, morti almeno altrettante lustri orsono. Ma le anomalie non si fermano solo al tempo. Tanto è vero che nemmeno il fatto d’essere nati tutti a sud ovest di Londra li ha scoraggiati a suonare come se a regalargli i natali siano state le terre del profondo sud dell’America.
Il loro omonimo disco d’esordio dunque trasuda blues, country, folk, south rock e talvolta anche ragtime, come se nulla fosse, con una naturalezza imprevedibile e una disinvoltura stupefacente. Sin dalla canzone che apre il disco, “Heaven Never Seemed So Close”, gli slide di chitarra in pieno overdrive dominano la scena, accompagnati prima da battiti di mani e piedi che dettano il ritmo, e poi intrecciati al violino con cui trovano un armonia coesiva difficile ma efficace. Ovviamente, la cosa che a primo ascolto colpisce di più, è la voce del cantante Chris Turpin, che sembra Anthony Hegarty che canta “On the Road Again” dei Canned Heat. In ” Burst it Banks” il volume è sempre lo stesso, piacevolmente alto, ma viene spezzato e sostituito a momenti più lenti, calmi e riflessivi. Qui entra in gioco anche la voce dell’altra cantante, la tastierista Stephanie Ward, che poi accompagnerà le fantastiche doti canore di Chris anche nel ritornello. Questa come “Private Idaho”, una bellissima ballata country-folk, sono solo alcune delle numerose prove di eccezionali doti di songwriting che pesano a carico del gruppo. Passando poi per la citazione evidente di Johnny Cash nel duetto “My Lips Wont Be Kept Clean”, canzone da quadriglia, si arriva alla prova migliore, vocalmente, di Stephanie, la blueseggiante “Dirty Water”, impreziosita dagli archi vagamente balcanici e da un perfetto quanto sporco assolo di chitarra verso la fine.
Questa evidentemente ambiziosa prova di esordio si conclude con l’emozionante ballata-giù-la-maschera guidata da piano e violino che sottolinea ancora una volta la capacità di andare dritto in fondo alla questione delle canzoni dei Kill it Kid. E la questione è che, nonostante la corrente sia forte, fare i salmoni gli viene naturale, e il risultato è sincero. Scusate, ma io intanto vado a scommettere su di loro per il futuro.

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2. Bursts Its Banks
3. Ivy And Oak
4. Fool For Loving You
5. Send Me an Angel Down
6. Private Idaho
7. My Lips Won’t Be Kept Clean
8. Troubles Of Loretta
9. Dirty Water
10. Bye Bye Bird
11. Taste The Rain