Questo disco si può riassumere in poche parole: Owen Pallett con un’orchestra tra le mani. La Czech Symphony per la precisione. Per capire meglio, però, occorre fare un passo indietro e raccontare, dettaglio piuttosto necessario, chi sia Owen Pallett. La prima volta che il suo nome ha iniziato a farsi conoscere è stato in parallelo a quello degli Arcade Fire: è sua la scrittura degli arrangiamenti d’archi tanto in “Funeral” che in “Neon Bible”. Molte altre sono le band con cui questo ragazzo canadese ha poi avuto l’occasione di collaborare (diciamone tre: Hidden Cameras, Beirut, Last Shadow Puppets). Poi c’è la carriera solista, di cui questo “Heartland” è il terzo episodio. Il primo, però, firmato con nome e cognome: i due dischi precedenti erano siglati Final Fantasy, omaggio alla nota e prolifica serie di videogame e più in generale a quella cultura nerd-fantastica di cui il nostro è grande fan.

Niente conclusioni affrettate però: il passaggio dal nome d’arte al nome vero e proprio non coincide con un lavoro più personale, una maggiore concentrazione sul singolo artista, uno scarto di prospettiva verso il centro, o qualcosa del genere. Già  i dischi precedenti erano assolutamente personali, e “Heartland” prosegue esattamente su quella strada, allargando semmai l’orizzonte con una tavolozza sonora decisamente più ampia a disposizione. Violino e tastiera sono gli strumenti di Owen Pallett: li suona registrando ed accumulando una sopra l’altra sequenze di note fatte scorrere in loop, climax e anti-climax accompagnati per mano dalla sua voce lieve e sicura. Vederlo ed ascoltarlo in concerto è uno spettacolo che lascia incantati.

Se nei primi due album, “Has A Good Home”, del 2005, e “He Poos Clouds”, uscito l’anno successivo, questi erano gli ingredienti, con “Heartland” la componente orchestrale com’era prevedibile riempie gran parte degli spazi bianchi che prima restavano sullo sfondo. Il numero di strati sonori cresce ulteriormente e dona una struttura più vigorosa alle canzoni. E qui c’è il punto di divisione. Tra chi amava il Final Fantasy one-man-band, i suoi guizzi veloci, i suoi vuoti e i suoi pieni, e chi preferisce invece questa versione più fluida e serena di Owen Pallett. Le canzoni in verità  non mutano, intrecciate e complesse tanto prima che adesso, e tanto prima che adesso restano legate a soluzioni melodiche capaci di donargli l’immediatezza propria del pop migliore (“Oh Heartland, Up Yours!”, “Lewis Takes Action”, “Midnight Directives”). Quello che cambia le cose è l’arrivo dell’orchestra, che Owen Pallett maneggia come se fosse uno strumento aggiunto, oltre il suo violino e le sue tastiere. Così, l’impronta neoclassica si fa inevitabilmente più marcata (“Flare Gun”, “E is For Estranged”).

Owen Pallett ha alzato la posta, e a pensarci era probabilmente la sola cosa che potesse fare. Probabilmente era anche quello che voleva davvero fare. Il risultato è un disco non semplice, che complica ulteriormente le cose rispetto agli episodi targati Final Fantasy. Un disco a cui bisogna dedicare la pazienza di qualche ascolto attento. Ci sono un paio di occasioni in cui le diverse forze in campo (pop, orchestra, musica classica, elettronica) trovano il loro giusto equilibrio (“Lewis Takes Off His Shirt” e “Tryst With Mephistopheles”). Poi ci sono momenti in cui il rischio di cadere nello stucchevole e nella pomposità  eccessiva è appena dietro l’angolo, fin troppo vicino. Ma Owen Pallett è capace ogni volta di salvare la situazione con la giusta sicurezza. E’ davvero difficile rispondere alla domanda posta dall’ultima canzone. Per il momento allora godiamoci il presente.