Bassi che ti spettinano. Anzi no, bassi che ti entrano dentro e ti scavano in profondità , devastandoti fisicamente ed emotivamente.

Un contrasto pieno-vuoto che ti svuota l’anima poi te la riempie rendendoti una persona nuova, più consapevole, più umana, più vera. Kevin Martin che a fine concerto si lamenta della dell’acustica della sala, ma provaci tu a suonare in un enorme palazzo antico senza aver problemi coi suoni e con le luci, provaci tu a toccare picchi artistici così alti senza avere il diritto/dovere di essere un perfezionista e volere che la tua Arte sia mostrata al pubblico al massimo del suo splendore. Un festival in cui una parte delle esibizioni si teneva a Palazzo Re Enzo in centro a Bologna ““ come dire, una suggestiva location del XIII secolo per musiche post-Anni Zero – alla fine esci che vorresti già  che fosse l’anno prossimo per tornarci, per rivedere esibizioni da ricordare per sempre come quella di Atomâ„¢ e, appunto, dei King Midas Sound.

Una scaletta perfetta, che parte da una intro spaziale e arriva ad una outro very noise-very nice passando per una “Earth Kill Ya” che ti fa quasi piangere per quanto è bella suonata dal vivo, “Lost” che ti fa davvero perdere la dimensione del tempo e dello spazio, “Catch a Fire” che è in grado di scaldarti pur essendo essenzialmente basata su suoni che paiono scolpiti a fuoco nel ghiaccio. L’etichetta ‘dubstep’ è solo un’etichetta, qui siamo già  oltre il tempo, oltre le mode e i miti. Il trip hop, il dub, la techno minimale, le cose che dovrebbero suonare i Massive Attack se avessero ancora rispetto per sè stessi. Questa è roba che dal minimo ottiene il massimo perchè non ha bisogno di orpelli ed abbellimenti vari per risultare efficace. Questa non è musica, è poesia.

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