A marzo, l’ultima edizione della notte degli Oscar ha regalato la candidatura per il miglior film a due titoli molto diversi tra loro: da una parte c’era “The Blind Side” di John Lee Hancock e dall’altra c’era “Precious” di Lee Daniels.
Tuttavia, al centro di entrambi c’era un personaggio afroamericano che in qualche modo era stato strappato dal ghetto e dal suo senso di disperazione.

Sia Michael Oher che Clarence Precious Jones sono obesi ed analfabeti e hanno un rapporto devastante con la propria famiglia: la vera storia del giocatore di football dei Baltimore Ravens era una parabola sull’incrollabile significato del sogno americano; quella della ragazza di Harlem è invece una sfida alle avversità , che le vietano persino di avere una vita vera e propria.
C’è una caratteristica che il cinema d’oltreoceano non perderà  mai: è la sua grande dignità .
E’ difficile pensare ad una situazione di partenza più difficile di quella della diciassettenne dei blocks più disagiati: il padre la stupra continuamente e l’ha messa incinta due volte, la madre la odia perchè ne è gelosa (nonostante viva dei suoi assegni dell’assistenza sociale) e intorno a lei non ci sono che spacciatori di crack e altri disgraziati.

Con queste condizioni di partenza, Precious non si può definire un film semplice da vedere.
Dietro la sua lavorazione ci sono quasi tutti i grandi nomi dello showbiz afroamericano: lo hanno prodotto Oprah Winfrey e Tyler Perry, un commediografo che è amatissimo all’interno della comunità  (per quanto siano sempre stati stroncati dalla critica e non siano mai arrivati da noi, i film del ciclo di “Madea Brown” sono un appuntamento rituale della stagione a stelle e strisce).
Con questi patrons alle sue spalle, “Precious” è anche un film orgoglioso e un manifesto dei sentimenti dei neri degli Stati Uniti, che hanno vissuto il loro momento di esaltazione dopo l’elezione alla Casa Bianca di Obama.
Non c’è nemmeno da stupirsi se la sua è una storia quasi esclusivamente femminile: nelle storie di Perry (che si sviluppano spesso sui piani delle relazioni familiari), sono sempre le donne a rivestire le parti positive dei conflitti narrativi.

In termini di sviluppo dell’intreccio, l’eroina non fa nessun passo in avanti: è vero che impara a leggere e a scrivere e che si guadagna la possibilità  di accedere ad un’istruzione; d’altra parte, purtroppo gli ostacoli che la accompagnano lungo questa conquista dei suoi diritti di persona di madre diventano sempre più grandi e sempre meno aggirabili
Nel cinema americano, gli outsider cercano di raggiungere l’autostima e l’affermazione attraverso qualche successo professionale o qualche conquista esistenziale, come accadeva a Will Smith ne “La ricerca Della Felicità “: al contrario, molto probabilmente “Precious” dovrà  essere contenta di restare una nullità  con due figli incestuosi, di cui uno affetto dalla Sindrome di Down.
Tuttavia, la ragazza non può fare a meno di attaccarsi alla vita, al bisogno di comunicare, di fuggire dalla casa prigione in cui l’ha rinchiusa la madre e in cui subisce ogni tipo di umiliazione psicologica e fisica.

“Precious” impara qualcosa nel suo apprendistato: il fatto che essere donna spesso comporta più pericoli che piaceri.
Nonostante tutto, continua a mettere un giorno dopo l’altro senza che il film esca mai troppo dalle righe o ecceda nel costringere lo spettatore davanti a situazioni di estremo disagio.
Lee Daniels è aiutato dagli attori, che non calcano mai la mano: anche la scena più carica di tensione – quella del colloquio finale tra la madre e la figlia – è portata avanti con un’indignata sobrietà , che si appoggia sullo straordinario monologo/confessione di Mo’Nique.

Il regista gira in digitale e offre al film uno sguardo impersonale, molto lontano dai luoghi comuni sul mondo dei ghetti: la Harlem senza futuro degli eighties viene ricreata con cognizione di causa.
A volte lascia che la ragazza possa esprimere i suoi sogni, in cui si vede priva di tutti i problemi che l’hanno afflitta, compreso quello di essere nera; altre ancora resta lontano per una forma di pudore: sia davanti ai momenti più tragici (le violenze domestiche) sia in quelli più sublimi, quando i piccoli gesti dimostrano che c’è ancora un minimo di bontà  da salvare.
Anche una come “Precious” può avere pochi istanti di amore.

Regia di Lee Daniels
Sceneggiatura: Geoffrey Fletcher, dal romanzo “Push” di Sapphire
Fotografia: Andrew Dunn,
Montaggio: Joe Klotz
Interpreti: Gabourey Sidibe, Mo’Nique, Paula Patton, Mariah Carey, Lenny Kravitz, Sherri Shepherd
Origine: USA, 2009
Durata: 110′