Cerchiamo di fare un po’ di ordine, che ce n’è un gran bisogno.
C’è questo side project di Ripley Johnson dei Wooden Shijps che sta raccogliendo un considerevole successo presso il giro di Pitchfork e degli hipster che leggono Pitchfork per documentarsi su quali dischi scaricare e quali no ed oltretutto lo sta raccogliendo con una proposta che teoricamente non dovrebbe proprio raccoglierlo ““ ossia uno space-rock marcissimo che sembra uscito dalla testa di Julian Cope, del tipo i Faust di “Faust IV” in combutta con i Suicide e certi Primal Scream, ma con un po’ meno droghe in corpo. Il side project in questione si chiama Moon Duo e tanto per gradire è appunto un duo che comprende il suddetto Ripley Johnson alla chitarra e alla voce e Sanae Yamada a synth ed effetti vari, ed è parecchio strano che ci sia così tanto hype intorno alle loro figure perchè certe cose non possono proprio piacere a determinata gente. e se piacciono a questa gente vuol dire che c’è qualcosa di strano e bisogna sporcarsi le mani indagando a fondo.

Ed allora mi sono recato al Covo di Bologna per saperne di più su di loro (oddio, a dire il vero mi sono recato al Covo perchè il disco mi è piaciuto un sacco proprio perchè sembra uscito dalla testa di Julian Cope e morivo dalla voglia di sentirli dal vivo, ma fingiamo di essere andati lì per indagare ““ tanto mica ci sono andato perchè l’ho letto su Pitchfork, no? Mica sono Sherlock Holmes o Carlo Lucarelli, mica c’è bisogno di chiamare i RIS di Parma per sentire un po’ di buona musica) ed incidentalmente per scoprire un po’ il loro pubblico. C’era gente di tutte le risme: dall’indie snob che passa tutto il tempo a guardarsi il concerto sullo schermo del suo iPhone fino allo studente fuorisede con le lattine di Heineken nascoste nello zaino, dalla persona normale che incontri a quasi tutti i concerti al Covo fino al sottoscritto che ha trascorso una giornata intera in un outlet a comprare vestiti mediamente costosi per piacere ad Enzo Miccio, e tutti attendevano con impazienza il concerto ed una volta iniziato non se ne se ne sono persi neanche una nota (com’è giusto che sia).

I Moon Duo sembrano suonare più o meno la stessa canzone dall’inizio alla fine ma lo fanno con gran classe, la classe di chi ha programmato solo tre ritmiche nella drum machine ma non si vergogna ad usarle allo sfinimento ed in sovrappiù ci mette una distorsione di chitarra talmente nitida da arrivarti al cervello, caleidoscopiche trame di synth che ti prendono e ti portano via ed un disco come “Mazen” che riproposto dal vivo suona uguale alla versione studio. E la tua testa ad un certo punto ti porta lontano ed il pensiero va, senza catene, fugge agli sguardi, sa che conviene, e indifferente sorvola già  tutte le accuse – io che son falco, falco a metà  come diceva Gianluca Grignani nel suo periodo più nichilista. Il bello è proprio questo: li ascolti e ti senti altrove, ma in realtà  sei vigile e sei attento come un falco perchè ti assorbono totalmente ed intorno a te non sembra esserci nient’altro che loro. Tutto sparisce: le critiche, il lavoro, la vita di tutti i giorni, la gente, gli hipster, Pitchfork, il capitale dilapidato in una giornata all’outlet. Non oso immaginare come sarebbe stato sentirseli dopo essersi opportunamente stonati con qualche pillola o qualche erba di quelle che attualmente sono in vendita fuori dalle scuole, ma è stato veramente emozionante sentirseli anche da perfettamente sobri (per la cronaca, io non bevo e nemmeno fumo).

Ed il perchè piacciono così tanto a Pitchfork e al suo lettore medio? Chi se ne importa, se la musica è buona lo è a prescindere da chi la ascolta o da chi dice di ascoltarla. E se piace a tanti non è altro che è un buon segno.
Che concerto ragazzi.

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