C’è della musica che dal vivo suona tristemente come su un cd. C ci sono band che salgono sul palco come per timbrare il cartellino e ci sono musicisti che sarebbe meglio non lo facessero, per non levarci illusioni e fiducia nelle loro canzoni. E poi ci sono gruppi come gli Arcade Fire, che sentirli pensi già  il disco sia un surrogato da farsi bastare fino al prossimo concerto. Perchè gli Arcade Fire sono un gruppo corale che sta stretto nella fissità  di un supporto audio, che rimbalza a forza dalle casse di uno stereo. Perchè gli Arcade Fire sono una band che scrive brani da cantare nelle piazze, canzoni che rivendicano spazi pieni di gente, cori improvvisati ed entusiasmi collettivi. Di questo sono sempre stata convinta e non potrebbe essere diverso dopo aver testimoniato nuovamente l’irrefrenabile energia della band anche sul palco del “Lucca Summer Festival”.

Gli Arcade Fire catalizzano l’energia della folla, la veicolano in musica per bocca di Win Butler tra la frenesia contagiosa di William Butler ed il flessuoso ammicare di Règine Chassagne. Esecuzioni impeccabili e setlist sorprendentemente energizzante che ha evitato di spezzare il ritmo appesantendo l’aria estiva con brani troppo meditativi che pure non mancano nel repertorio della band. Incorniciato dalla piazza il megaschermo rimanda adolescenti in bicicletta tra le periferie urbane del corto di Spike Jonze sull’inevitabile apertura di “Ready to Start”. Seguiranno “The Suburbs” e la bellissima coda di “The Suburbs (continued)” con un Butler che ripete languido All the time that we wasted I don’t wanna waste it again. E’ l’intimità  di un momento perchè da “Rebellion” a “Neighborhood #2” a “No Cars go” il gruppo ed il suo pubblico diventano un’insieme strabordante d’entusiasmo. Vecchie pellicole in bianco e nero fanno da sfondo ad una meravigliosa “Moden Man” e lasciano riprendere fiato su “Rococo” e “Tunnels” prima che la Chassagne conquisti il palco cantando della sua Haiti tra palme multicolor e ci regali un po’ di leggerezza con “Sprawl II”. E poi è il momento di scorrere lettere ingiallite mentre il frontman intona “We Used to Wait” e dell’adrenalinico finale di “Neighborhood #3 (Power Out)”. C’è spazio ancora per l’encore che chiude una serata memorabile con “Keep the Car Running” e con l’agognata “Wake Up”, ultimo atto collettivo, unanime dichiarazione d’appartenenza alla piazza del Summer Fest e alla musica che ha suonato per 2 ore.

Non interessa sapere quanto Butler fosse sincero ogni volta che ripeteva You are f*****g amazing, quanto davvero entusiasta fosse il fratello minore di saltare senza sosta sul palco e quanto coinvolti fossero Parry o Gara. Interessa che gli Arcade Fire conoscano il loro pubblico e sappiano ricompensarlo, perchè un musicista è anche e senza vergogna un mestierante, che vive della propria arte. Gli otto sul palco di Lucca sanno quello che fanno e lo fanno bene. Per questo motivo, dopo le logoranti discussioni sulla qualità  di “The Suburbs”, sento personalmente di poter consigliare un ripensamento a quelli che non li amano “‘perchè sono poco mainstream e troppo hipster’ e a quelli che non li amano “‘perchè sono troppo mainstream e poco indie’. E se dopo una performance dal vivo saranno ancora dello stesso avviso non mi resterà  che indirizzare i primi verso casa di Eddie Vedder con un ukulele in mano e suggerire ai secondi che si dice ci sia uno bravo in un paese di 200 anime nel Wyoming che registra rutti su un mangianastri mentre percuote il tubo del radiatore, malinconicamente.

Oltre etichette e netiquette a me, personalmente, piace la bella musica e chi sa farla. Per quello mi piacciono, ancora, gli Arcade Fire.

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