A due anni dall’ultimo disco, la raccolta “Favourites” che ne ha ampliato il pubblico e li ha portati lungo una tournèe che ha toccato anche l’Italia, e a tre dall’ultimo album d’inediti i Pumajaw tornano con un nuovo lavoro, pubblicato tramite la misconosciuta label londinese Bedevil Records.
Ammetto che, dopo averli scoperti con la succitata retrospettiva, ho coltivato una forte passione per il duo scozzese: non è raro trovarsi di fronte a gruppi tanto talentuosi e validi pressochè sconosciuti, ma nel caso dei Pumajaw è davvero clamoroso il divario tra la sparuta audience e la qualità  della proposta. Pinkie McLure e l’uomo nell’ombra John Willis (già  batterista dei Loops) hanno saputo miscelare le più diverse influenze giungendo a plasmare un sound unico e riconoscibile, in cui convivono perfettamente il folk britannico dei primi lavori, tendenze d’avanguardia (l’elettricità  spinta dell’iniziale “The Mazzy Laws” è quanto di più vicino agli indimenticati e sperimentali This Heat), memorie del trip-hop femmineo e mistico dei Lamb e spunti torbidi e bohèmien tra Nick Cave e Marianne Faithfull (evocata nel mood sognante ed etereo di “In The Outlands”).

Con “Demonmeowmeow” troviamo i due meno acustici, sempre oscuri (quante tenebre nel delicato ed implacabile crescendo di “The Safe Inside”) ma coraggiosamente elettrici ed elettronici; un animo blues e livoroso pervade tutta l’opera (esemplare in “Tallulah”), mentre è sul secondo versante che si può notare un importante salto qualitativo rispetto al passato. Le sfumature electro e i battiti sapienti indirizzano l’inquietante singolo “Mask”, colorano di tinte industriali “Your Arms Your Doors” e declinano estasi synthetiche in “Chinny-Chin-Chin”.

In un decennio abbondante di vita discografica i Pumajaw non hanno sbagliato un colpo, eppure hanno raccolto davvero poco (scandalosa, per esempio, la disattenzione di tanto giornalismo musicale): eppure, indomiti e mai paghi delle proprio conquiste, continuano ad affrontare la loro avventura con entusiasmo e curiosità . E, senza alcun clamore, hanno realizzato ancora una volta un’opera di rara intensità , che difficilmente lascerà  indifferente (o insoddisfatto) l’ascoltatore.