Dopo ben cinque album in studio è normale che si abbiano delle certe aspettative, soprattutto quando si parla di uno degli artisti folk-pop più chiaccherati nei campus americani. Kevin Devine ha scritto ed interpretato brani semplici e diretti armato di chitarra acustica e tanto lirismo, spesso condito con un pizzico di pop alla Weezer e Wheatus vecchio stile. Non stupisce come l’uscita di “Between the Concrete and Clouds” abbia da subito fatto drizzare le orecchie agli amanti del cantautore, che dopo la maturazione musicale del precedente “Brother’s Blood” avevano l’acquolina in bocca. Questo sesto disco riprende l’impostazione base della musica di Devine, ma la arricchisce con una mancanza non poco indifferente: la chitarra acustica viene mirabilmente sostituita, creando alcuni brani in cui il suono sovrasta nettamente la potenza lirica.

Kevin Devine inizia la sua carriera nel 2002 e in un anno produce il debutto “Make  Clocks Move”, inaugurando una ambivalenza nelle tematiche: l’aspetto politico e quello profondamente introspettivo, caratteristica che manterrà  per tutta la sua carriera. L’annuncio del sesto album avviene via facebook nell’agosto 2010, e a marzo dell’anno successivo Devine ed il manipolo di musicisti da lui scelti registrano in 10 giorni “Between the Concrete and Clouds”, dando una sensibile svolta a quello che è il sound del cantautore di Brooklyn. Se in alcuni brani ritorna un pop weezeriano (“The City Has Left You Alone”), Devine riesce con keyboard e batteria a ricreare una atmosfera tra il dreamy e l’americana (“The City Has Left You Alone”) accompagnate da brani più spensierati, di impostazione brit pop con tanto di battito di mani (“Awake In The Dirt”). Un folk pop più cupo e denso quello di “11-17” o “ A Story, A Sneak”, perfetto esempio di come la parte lirica possa quasi sovrastare l’impianto musicale stesso (“You open the door / Say, “Age before beauty.” / Cringe as I pass / But I guess it’s a story / A sneak / A rumor I won’t believe”) Ottime infine le incursioni noise distorte di “Off Screen” e “I Used to be Someone”, in cui il pop si colora di sfumature più sporche e grunge.

“Between the Concrete and Clouds” è un disco che in fin dei conti accontenta sia gli amanti di un songwriting più semplicistico e minimale che gli appassionati della alt folk più sperimentale, senza riuscire però a rapire completamente l’ascoltatore a causa di un continuo altalenarsi di generi.

Between the Concrete & Clouds
[ Arctic Rodeo – 2011 ]
Similar Artist: Manchester Orchestra, Jonathan Wilson, Tom Waits
Rating:
1. Off-Screen
2. The First Hit
3. Sleepwalking Through My Life
4. Awake In The Dirt
5. Between The Concrete & Clouds
6. 11″“17
7. Wait Out The Wreck
8. A Story, A Sneak
9. The City Has Left You Alone
10. I Used To Be Someone

Ascolta “Between The Concrete And Clouds”