Ritorno in pompa magna per gli Sleigh Bells, graziati dall’hype e da un contratto con la facoltosa Sony Music, per cui lasciano di buon grado la NEET di  M.I.A. che li lanciò un paio d’anni fa col buonissimo “Treats”. Il debutto è il classico disco che cresce con gli ascolti, che stupisce alla prima botta, magari non del tutto ma lascia quel retrogusto che ti porta a riascoltarlo e ad apprezzarlo per bene magari anche a distanza di anni. Storia non troppo differente per il nuovo lavoro.

Anticipato da due singoli di lancio che con tutti i sè e i ma del caso ben promettevano, lascia un po’ interdetti alla prima impressione, ripetendo sì la formula del debutto tra sfilate di cheerleader ed esplosioni atomiche, ma straniando il tutto a favore di una virata verso un prodotto che possa piacere tanto ai figli di Pitchfork quanto all’ascoltatore radiofonico medio; l’evidenza del cambiamento di aspirazioni si palesa a partire dalle influenze: già  dall’iniziale “True Shred Guitar”, gli scantinati lerci di lo-fi e distorsioni sono scansati da grossi stadi trash-metal in confezione famiglia, sorta di piccola rivoluzione per un duo che ricordiamo nasce da una costola dei Poison The Well, così come la successiva “End Of The Line”, a rappresentare la ballata trasognante del pacchetto (sempre condita di esplosioni e drum machine, non sia mai) e un susseguirsi di ritornelli pop, sepolti sotto chitarroni truzzi e ritmi serratissimi, ma pur sempre ritornelli pop.

Il punto della faccenda è che nella maggioranza dei casi (“Never Say Die” e “Leader Of The Pack” sono dei riempitivi un po’ inutili), e magari dopo qualche ascolto attento, vien fuori che i pezzi funzionano bene, seppur limati a favore di un appeal radiofonico abbastanza vago e perdonabile. Rimane tuttavia il problema della crescita di un gruppo che non potrà  continuare ad adagiarsi sulla solita ricetta del successo, ma rimandiamo la soluzione del problema ad almeno un paio d’anni.