Nel corso della sua carriera, Sophia Knapp ha sempre sentito la necessità  di riuscire a dare origine ad una raccolta di canzoni che corrispondesse esattamente al proprio suono interiore del momento o del periodo, per esprimere al meglio la propria  essenza: da componente di varie band dalle più disparate influenze  (Lights, Cliffie Swan, Girl Crisis), meditava già  di cambiare rotta nel 2009, durante gli anni con le Lights (supporter band a quei tempi in tour con Bill Callahan): il picco di questa ricerca  è “Into The Waves”. Questo disco tratta il tema della solitudine, una prigione acquatica a centinaia di leghe dalla superficie dell’acqua dove la luce non arriva (“Nothing to Lose”),   che svanisce traccia dopo traccia fino a sfociare in un oceano in cui gran parte dei musicisti nuota (per intenderci, quello che inizia con “A” e termina per “more”).

In realtà  la questione non è così banale, in quanto il disco è di per sè un piccolo “racconto di formazione”: inizia con la realistica consapevolezza che la storia che sta per nascere un giorno finirà  (“Into the Waves”), continua nella fase dell’idillio in cui si pensa con entusiasmo che durerà  fino alla fine (“Evermore”), termina con una sensazione di tranquillità  e con l’eradicazione della paura del buio della notte grazie alla presenza dell’altro (“In Paper”): il tutto è un fluttuare continuo tra le onde dei synths che battono sui solidi scogli analogici degli arpeggi delle chitarre. Le percussioni sono state compresse per dare alle canzoni un effetto “pop anni ottanta”, e certe parti di pianoforte rimandano agli ABBA (in realtà  da considerarsi come un residuo post-Lights, “Glasses High”) anche se in linea di massima, “Into the Waves” è caratterizzato da un sound molto attuale.

Alla luce di tutto questo, vien da sè accostare “Into the Waves” a certi quasi-concept album di Kate Bush, su tutti “Hounds of Love” del 1985, in cui si riusciva meravigliosamente a descrivere lo scivolamento di una donna innamorata da uno stato di coscienza alla perdita graduale della stessa, fino ad una dimensione onirica e per nulla rassicurante galleggiando sul mare, di notte, illuminata dalle stelle.

Discorso a parte meritano i due duetti con Bill Callahan, “Spiderweb” e Weeping Willow”, in cui la voce baritonale ormai familiare del caro vecchio Bill si presta per eleganti staffette vocali con quella soave, pulita e cristallina di Sophia:   i due sono stati in tour assieme per la promozione di “Apocalypse”, entrambi sul palco, lei alla sua destra, in abito lungo e rigorosamente barefoot.

Degno di nota è il fatto che queste due canzoni sono dei veri e propri duetti, in cui il nostro si pone alla pari con Sophia, se non come piedistallo per valorizzarne il cantato, differentemente a quella che si può definire come una “comparsata” poco sincrona e molto protagonista negli ultimi minuti di “Only Skin” di Joanna Newsom (album: “Ys”), nella quale, più che un duetto tra due (ormai ex) fidanzati, sembra di ascoltare la voce del grande imperatore che intona versi un passo avanti dalla sua moglie bambina.

Ma non finisce qui. “Into the Waves” è un dialogo nemmeno troppo velato con “Apocalypse” di Bill Callahan:   ne risultano analogie che non dovrebbero sorprendere, dal momento che la simbiosi artistica (e non solo?) dura dal 2009. Queste le parole da “Glasses High”:

Leaving people behind
Is never easy to do
Singin’ ooh ooh
Still you’re movin’ along

Queste invece da “Riding For The Feeling” di Callahan:

It’s never easy to say goodbye
To the faces
So rarely do we see another one
So close and so long

La successione dei punti d’incontro non termina qui. “So Long, Marianne” di Leonard Cohen, reinterpretata recentemente da Bill Callahan, recita:

I’m standing on a ledge and your fine spider web
is fastening my ankle to a stone
.

Qui invece, nemmeno a dirlo, “Spiderweb” di Sophia:

We’re livin’ in a spiderweb
Nothing’s as separate as it seems

Insomma, una cover song non esattamente scelta per caso”…

In aggiunta, entrambi gli artisti trasfigurano le persone in alberi, parlano di giardini e fiori, della solitudine. La stessa “Nothing to Lose” parla della difficoltà  a dormire in orari notturni, proprio come  “Morning Paper” del CallahanSmog ai tempi di “Red Apple Falls”.

E con immensa gioia ho constatato che ad oggi è possibile ascoltare un album di pop femminile dai contenuti floridi e con testi di una certa qualità  come “Into the Waves” (frutto, sia chiaro, non soltanto dell’influenza Callahaniana, ma anche degli studi di letteratura, in particolare francese, della Knapp) e non”… ehm”… artificioso e siliconato. D’altronde Sophia significa “sapienza”, la “Lana” è materiale da pecore: può tener al caldo   per una sola stagione.

Nomen Omen.

Into The Waves
[ Drag City – 2012 ]
Similar Artist: Una sirenetta nel Paese delle Meraviglie
Rating:
1. Glasses High
2. The Right Place
3. Into the Waves
4. Spiderweb
5. Looking Into Another Day
6. Close To Me
7. Evermore
8. Nothing To Lose
9. Weeping Willow
10. In Paper

Ascolta “Close To Me”