I Gaslight Anthem per me sono una questione di cuore e bei ricordi, di attese e belle scoperte sul ciglio di un’estate che sembrava difficile e che mi riempì gli occhi e le mani. Caldi tramonti metropolitani in compagnia di quei riff di chitarra, notti intense e sogni pieni di piccole gioie. E’ sempre una questione di sentimenti e di cose che sfuggono al controllo proprio quando le intenzioni sono quelle di navigare a velocità  di crociera. Non potevo far finta di nulla ed ignorare “handwritten”, che piomba una sera di un luglio diverso, faticoso, in cui l’unico modo per prendere a calci nel culo le preoccupazioni è l’ascolto di un bel disco rock.

Tornano quelle sonorità  ruvide, i cori da stadio, la voce roca e lo spettro, sempre piuttosto ingombrante, del Boss e della sua influenza. Siamo lontani dai miracoli, dalle serate sorprendenti e siamo costretti a navigare a vista qualunque sia la musica di sottofondo. Tutto molto canonico: undici canzoni per quaranta minuti. L’energia giusta, brani che stanno in piedi piuttosto bene anche se manca quell’ispirazione che fece di “The ’59 Sound” un piccolo capolavoro del suo genere. Brian Fallon è ancora accanto a me a riempire di note le mie serate, i miei tramonti metropolitani e i miei sogni rotondi e lontani. Devo ancora capire questa estate cosa riserverà  ai miei occhi e alle mie mani. E’ un’estate diversa, nonostante tutto, è un disco diverso, non QUEL disco, ma tocca farmelo bastare. Navighiamo a vista e non abbiamo scelta. Alla prossima estate Gaslight Anthem, potete giurarci, io sarò lì ad accogliervi ancora una volta.