Qualcuno in passato bussava alle porte del Paradiso, oggi c’è una band che guarda la strada che sta percorrendo e bussa alle porte in cui si imbatte per scoprire cosa c’è all’interno, oltre: e qualcosa c’è”… You see me go, there’s something coming your way / Everything I want, and everything I need“… e non è da poco riuscire a dire una frase del genere. Stiamo parlando di “Knock knock”, che apre un album che si discosta decisamente dai capolavori precedenti della band di Seattle.

Ma non esiste solo il ROCK, diamine! E per fortuna! Se ne devono fare una ragione i fans conservatori che vorrebbero che i Band Of Horses si fossero fermati dopo i primi due album”… ma i musicisti si stancano anche di suonare sempre le stesse cose (senza togliere nulla ai capolavori che sono “Everything all the time”, che peraltro è parecchio lento, e “Cease to begin”) e vogliono sperimentare, non spesso con grandi risultati: in questo caso sì.
Perciò “Mirage Rock” vede un’alternanza di canzoni “classiche” con chitarroni lanciati al galoppo su strade asfaltate (che rischiano, dopo un po’, di consumarsi gli zoccoli per la loro costruzione troppo lineare), e ballate acustiche che hanno il sapore di una tradizione country/folk che a sprazzi già  ci avevano fatto gustare negli ultimi anni.
“How to live” è un Jackson Browne featuring Neil Young, e subito dopo “Slow cruel hands of time” ricorda il primo periodo, quello di “Part one” per intenderci; “Dumbster world” sembra cantata da Crosby, Stills & Nash mentre “Electric music” ha un titolo che è un programma, molto rock and roll, spolpato però della sua essenza, di cui forse nessuno ormai più sente il bisogno. Reminiscenze di Eagles in “Shut-in tourist”, ma poi ascolti brani come “Knock knock” e “Feud” e ti sembra di avere un dejavù”… ah ecco , assomigliano davvero moltissimo a “Is There a Ghost” e “Cigarettes, Wedding Bands” (da “Cease to begin”) ma anche a “NW Apt.” (da “Infinite Arms”), e questi sono i Band of Horses che piacciono ai “fans” di prima.

Poi ti imbatti in “Everything’s gonna be undone” e ti si scioglie il cuore, perchè ricorda molto i Fleet Foxes e un mondo in cui i nostri amici sembrano trovarsi a proprio agio; lo stesso vale per “Long Vows”: mai prima d’ora Ben Bridwell aveva avuto la voce così simile a Neil Young, per non parlare dell’armonizzazione e della slide guitar (che non lo è di fatto, probabilmente) che addolcisce il tutto. Un finale (“Heartbreak On The 101”) che stupisce già  a cominciare dalla voce, che non ti aspetti, anche per la progressione di accordi”…

Una love ballad, quindi, alla fine dell’album: ma non ci siamo accorti che in realtà  quasi tutte le canzoni parlano d’amore? No, non sto facendo il romantico: se non si scrive per amore (non importa verso che cosa) il risultato si sente, ed è pessimo; al contrario, i BoH non hanno fretta nè voglia di accontentare nessuno, forse perchè amano la musica più di ogni altra cosa.
Io sono soddisfatto, e per chi non lo fosse Better things come to those who wait.

Credit Foto: Christopher Wilson