L’autunno segna il ritorno dei Melampus, duo bolognese già  famoso nel panorama underground grazie all’omonimo demo. Accenni new wave e una ricchezza di richiami elettronici, droni e loop, protagonisti assoluti di questa nuova stagione musicale, a testimoniare come Francesca Pizzo e Angelo Casarubbia (Buzz Aldrin) ci avessero visto lungo fin dagli inizi.

“Ode Road” gioca con echi vocali e musicali, in un incontro tra lo sciamanico e il funereo. Lo shoegaze si irrora di scariche elettriche, in una funerea processione liturgica che ricorda le sperimentazioni della Factory, questo anche grazie al lamento cacofonico a là  Nico (“Joel”). A cavallo tra i Schonwald e sprizzi synth goth dei Depeche Mode di “Violator” (“Fall”), i Melampus giocano tra reminescenze musicali di decadi passate e una freschezza interpretativa che li rende cupi, imperiosi e sicuramente conturbanti (“Freedom Day”). L’accoppiata di testi evocativi e un suono ipnotico, ripetitivo, infuso di delay e riverberi, crea un gioco di specchi che lascia per un attimo col fiato sospeso. Esempio lampante è “Double Room”, un brano in cui la cacofonia dei This Mortal Coil si fonde con una chitarra annacquata, fino a diventare sempre di più un ipnotico rito tribale (“Walk with Me”). Non manca qualche momento più leggero, come il riverbero sognante da synth-pop anni 00 di “Dots”, sicuramente necessario dopo una serie di brani intensi e dal ritmo serrato che suona tanto Badalamenti di Twin Peaks.

“Ode Road” è uno di quei dischi da gustare e digerire con cura, se non per la sua complessità , per la carica emotiva che trasmette agli ascoltatori più attenti e sensibili. Coraggioso e imponente, questo primo disco dimostra che i Melampus sono ancora un passo avanti nel panorama tricolore di stampo indipendente.