Il nuovo capolavoro di uno straordinario artista, ecco cos’è “Bish Bosch” senza troppi giri di parole. Il “lavoro fatto, in ordine” che omaggia apertamente l’opera visionaria e composita di un altro artista immenso e schivo: il pittore olandese Hieronymus Bosch. Scott Walker torna sei anni dopo “The Drift”, che aveva sconvolto il panorama musicale con il suo spessore plumbeo, e sale un altro gradino verso la leggenda. Un disco ogni decennio per spostare l’orizzonte dell’inarrivabile e dell’inascoltato un po’ più in là .

Abbandonata da lustri la forma canzone tradizionale, della quale peraltro fu maestro con i Walker Brothers, ora il Nostro cerca di trascendere i generi e gli stili per costruire un mezzo di comunicazione nel quale enfasi, umorismo nerissimo, avanguardia e retroguardia si fondano per dare vita ad un’opera dalle infinite stratificazioni, giustapposizioni, emozioni, nazioni e nozioni, che regali novità  ad ogni ascolto. Un disco che finalmente esiga tempo, un disco ovviamente non per tutti, direi anzi per pochissimi disposti a non cercare appigli e facili spiegazioni. Per questo motivo si può affermare che “Bish Bosch” non è un disco di questi tempi, così fastidiosamente superficiali, dai sentimenti e dalle reazioni drogate da un sensazionalismo tanto fine a sè stesso da fare schifo, un tempo in cui un album del genere viene incensato su qualunque pagina (anche questa), al quale vengono assegnati rating stratosferici, gli stessi riconosciuti a onesti strimpellatori o a scurrilissimi e definitivi rapper (di media un paio all’anno). I conti non tornano perchè qui siamo in un luogo dove solo Captain Beefheart o, scegliendo arti diverse, David Foster Wallace e Terrence Malick. Insomma il luogo dell’arte cristallina, pura ma capace di comunicare, rendere esplicita la propria lettura della storia universale.

Dal punto di vista musicale si riparte da “The Drift”, una commistione di poco e straniante cantato, recitato espressionista e declamazione a sostenere un flusso accompagnato da ritmiche incalzanti, chitarroni distorti, orchestrazioni che si avvalgono di classicismi quanto di clangori industrial. Rispetto a sei anni fa si registra una maggiore vivacità , che non significa certo assenza di cupezza, e una maggiore propensione alla sperimentazione.

Poi ci sono i testi dove Walker dà  il meglio di sè, passando dalla vicenda grottesca e drammatica dell’ultimo dittatore comunista d’Europa Nicolae Ceausescu in “The day the Conducator died” (la sua canzone natalizia) alle recenti scoperte astronomiche della lunga suite “SDSS1416+138 (Zercon, A Flagpole Sitter), la storia di Roma e Grecia antiche e quella moderna di Gorbaciov, Reagan e il Ku Klux Klan. Immancabili le citazioni bibliche.
Disco totalitario e affatto egualitario, che necessita mesi e concede secoli, che richiede studio. Altro che posizioni in classifica.