HOUSE (Wilson’s Heart – s04 e16)
Bon Iver – Re:Stacks [2008]
Sin dalla sigla, “Teardrop” dei Massive Attack, “House” si è sempre distinta come una serie che ha avuto un occhio di riguardo nella scelta della colonna sonora. Parecchi sono gli snodi memorabili delle vicende del dottore più famoso della tv, e non potrebbe essere altrimenti per un prodotto ambientato tra le corsie di un ospedale dove il dramma è all’ordine del giorno.
La fine della quarta stagione è teatro di uno dei momenti più tristi della sua lunga storia, finita dopo otto anni, si fanno timidamente largo le note di “Re:Stacks” di Bon Iver, probabilmente una delle canzoni più malinconiche scritte negli ultimi dieci anni. Il cuore si spacca in due e il connubio tra immagini e musica è talmente perfetto e doloroso da fagocitare tutto il resto.
SOPRANO (Crediti Iniziali)
Alabama 3 – Woke Up This Morning – Chosen One Mix [1997]
Tra gli “opening credits” immediatamente riconoscibili”“ per non dire memorabili”“ nella storia degli show televisivi c’è la sigla di apertura dei Soprano. La voce profonda del leader degli inglesi Alabama 3 introduce Anthony Soprano, boss mafioso e personaggio centrale dell’omonima serie. Il basso pulsante ed il lieve riverbero della melodia fanno da colonna sonora al tragitto di Tony nel desolato paesaggio industriale del New Jersey; sequenze ormai intrise di significati ed interpretazioni epici. L’ingresso nello Stato definisce il contesto, il mondo poco glamour e meno appariscente della mafia americana al di fuori della Grande Mela, dove anche il «Don del New Jersey » paga il pedaggio al casello. I versi della canzone You woke up this morning/ Got yourself a gun/ Your mama always said you’d be/ The Chosen One sono fondamentali per spiegare la figura di Tony, un criminale predestinato la cui vita è sospesa tra la responsabilità del gangster (“But you were born under a bad sign,” ) e i rapporti familiari.
Conflittuali nel caso della madre, di responsabilità e d’orgoglio verso il padre, un uomo d’onore vecchio stampo ma incapace di educare il figlio alla reale differenza tra il bene ed il male (Your Papa never told you/ About right and wrong,”). Nella sigla, oltre alle pizzerie italoamericane e ad altri stereotipi sulla mafia made in Italy, viene inquadrata una cattedrale, indicativa dell’enfasi sulla sacralità nel mondo di Tony, sia esso mafioso o familiare, per un minuto e mezzo di pistole, sfortuna, grandi ambizioni, violenza, potere e condanna.
MY-SO CALLED LIFE (Betrayal – s01 e17)
Violent Femmes – Blister in the sun [1983]
Siamo abituati a vederla nelle vesti di Carrie Mathison in “Homeland” (serie in cui di canzoni pop ne girano poche, mentre il jazz viene trattato benissimo), ma prima di diventare un’agente della CIA bipolare, Claire Danes ha preso parte a una serie televisiva di culto”“ mai approdata in Italia”“ nota per occuparsi di sessualità e afasia adolescente, ma anche di abuso e dipendenze. Chissà cosa avrebbe potuto ottenere My-So Called Life se non fosse stata tagliata dopo una stagione.
Intanto da un po’ si parla di remake e tocca capire chi rimpiazzerà l’oggetto del desiderio Jordan Catalano, improbabile chiodo fisso di una generazione di ragazzine impersonato all’epoca (ahimè) da Jared Leto. Ed è proprio a lui che si riferisce Danes”“ Angela nella serie”“ all’inizio del diciassettesimo episodio quando si sveglia e dichiara «I got over him ». Il che non è proprio vero, ma è una buona scusa per godersi “Blister in the sun” e fare una performance da cameretta degna di questo nome.
SONS OF ANARCHY (Bainne – s03 e11)
Sun Kil Moon – Alesund [2010]
“Sons Of Anarchy” racconta la storia di una banda di motociclisti che gestisce il traffico di armi ed altri affari illeciti nella città immaginaria di Charming. Il confine tra i buoni e i cattivi è labile, inesistente, la violenza fa posto anche a buoni sentimenti, magari in modo contorto, trasversale, ma la malinconia non manca. Il momento è uno dei più dolci e rassegnati: Jax Teller vede suo figlio da poco nato felice tra le mani di un’altra famiglia. Non fa nulla per riprenderselo, prova a scegliere per lui una vita migliore di quella che avrebbe potuto offrigli, lontano da colpi di proiettile, corruzione e violenza.
Sun Kil Moon in sottofondo, “Alesund”. D’altro canto non poteva che essere così: una canzone acustica e profonda, lontana dal rock ma dall’animo oscuro e potente.
Non si vive di soli pugni e pallottole dalle parti di Charming.
GILMORE GIRLS (Crediti Iniziali)
Carole King and Louise Goffin – Where you Lead [1970/2000]
Una sigla è il primo passaporto per intuire se una serie piace o meno, se le dedicheremo del tempo oppure no. A giudicare dalla canzone che Carole King ha reinciso dopo trent’anni con la figlia, “Gilmore Girls” sembrerebbe una delizia. E lo è, a patto di reggere il ritmo frenetico dei dialoghi dei personaggi, le loro follie edulcorate e il calore che emana dappertutto. Per chi scrive è una delle serie del cuore, per gli altri solo una piacevole coperta per l’inverno.
THE WEST WING (Two Cathedrals – s02 e22)
Dire Straits – Brothers in Arms [1985]
Fine del primo mandato. Il presidente degli Stati Uniti ha appena dichiarato pubblicamente di avere la sclerosi multipla. La Casa Bianca è in subbuglio. Per di più, è appena morta la sua segretaria, persona che conosce da tutta la vita e che si è sempre comportata come ‘sorella maggiore’. Il partito democratico non vuole la sua ricandidatura.
Il cattolico Jed Bartlet (Martin Sheen) maledice Dio durante il funerale affermando la sua volontà a farsi da parte. Alla vigilia di una delle conferenze stampa più difficili della sua lunga carriera di politico. Un ritmo narrativo incalzate. Drammaturgicamente perfetto. Con i Dire Straits che accompagnano il crescendo. Sarà la potenza delle immagini, sarà che so perfettamente quello che succede dopo, ma in questo contesto, la chitarra di Mark Knopfler non è molesta. Sarà anche merito di uno dei più poderosi cliffhanger della storia della televisione?
FLASH FORWARD (Gimme some truth – s01 e05)
Rolling Stones – Like a Rolling Stone [1995]
Immaginate che all’improvviso ogni uomo sulla faccia della terra abbia un black-out di 2 minuti e 17 secondi. Uno svenimento collettivo: autisti al volante, operai sull’impalcatura e segretarie sulle scrivanie. E inoltre: immaginate che durante questi interminabili secondi ognuno avesse anche l’opportunità di “vedersi” nel futuro. Magari in un luogo sconosciuto o con una persona nuova al proprio fianco. Da cui il bivio: ognuno di noi riuscirebbe a non farsi condizionare dal proprio flash forward oppure -più verosimilmente- inizierebbe un’irrefrenabile ricerca della persona che sa che farà parte del proprio futuro? E se così fosse, saremmo quindi noi a creare i presupposti del flash-forward?
Questa l’idea alla base della poco fortunata serie mandata in onda dalla ABC nell’autunno del 2009 e interrotta solamente al termine della prima stagione, a causa di un calo di ascolti dovuto probabilmente ad alcune episodi centrali non proprio trascinanti. Il protagonista è l’agente FBI Mark Benford (Joseph Fiennes), la cui vita privata è forse irrimediabilmente sconvolta dagli eventi successivi al black-out. Eccolo coinvolto in una sparatoria mentre è sulle tracce di colui che potrebbe essere l’artefice del caos.
MILDRED PIERCE (Part Five)
Judy Garland – I’m always chasing rainbows
Non può che finire così la miniserie di Todd Haynes, con Veda che canta una canzone di Judy Garland, vestita in modo improponibile e con un volto da bambola di porcellana dallo sguardo maligno – quella che nei film dell’orrore è pronta a pugnalarti nel sonno. La storia di Mildred Pierce si riduce a questo, a una donna volitiva ma cieca che non si accorge che tutto le sta scivolando di mano – così la canzone cantata dall’amata figlioletta funziona da rivelazione: cara madre, continui a inseguire arcobaleni (e illusioni), ma sei sola, odiata e maltrattata da tutti, anche – soprattutto – da me. Quando il pathos e il melò la fanno da padroni, Todd Haynes trova la canzone perfetta.
ALIAS (So It Begins – s01 e02)
Kate Bush, This woman’s world [1989]
Sei una recluta in un’ambigua agenzia segreta e invece di tenere celata la tua identità la spifferi all’uomo che stai per sposare, il quale viene prontamente fatto fuori da persone che potrebbero essere tue consanguinee (vedi tuo padre).
C’è n’è abbastanza affinchè la protagonista di “Alias” Sidney Bristol tenti il suicidio direttamente nel secondo episodio, mandando a monte una tiritera su Rambaldi e la pietra filosofale che andrà avanti per cinque stagioni, ma invece va a farsi un bagno. L’unico motivo per cui una scena del genere sopravvive nei recessi della memoria è Kate Bush, che con una meravigliosa e metaforica “This Woman’s Work” fa precipitare Sidney nella solitudine e nel senso di colpa. Una rara parentesi di classe in una serie destinata al tracollo, firmata dal solito J.J. Abrams.
HOW TO MAKE IT IN AMERICA (Crediti iniziali)
Aloe Blacc ““ I Need A Dollar [2010]
La serie segue due intraprendenti ventenni nel tentativo di sfondare nel mondo della moda, alle prese con la propria versione del sogno americano. I due, Ben Epstein e Cam Calderon, dovranno usare le conoscenze dell’ambiente e i contatti personali per farsi strada. Ad aiutarli un amico di Ben, Domingo, e il cugino di Cam, Rene. “How To Make It In America” è una serie imprescindibile per chi ama NYC. Luis Guzman nel ruolo di Rene Calderon fa status a sè, Lake Bell è deliziosa nel ruolo di Rachel e menzione speciale spetta a Kid Cudi (Domingo) e allo storico “Pausamerda” di American Pie Eddie Kaye Thomas nel ruolo di David “Kappo” Kaplan. Nel corso delle due stagioni riecheggiano tutte le influenze e gli stili musicali che la città può contenere: rap, reggae, rock, house, musica latina.
Scegliere una singola canzone è davvero complicato, forse per la novità offerta al “pubblico” italiano va menzionata “As We Enter”, ma la sigla è sufficiente a spiegare tutto: istantanee di vita newyorkese sia di notte che di giorno, dal playground allo scintillio dei club; metropolitane, aerosol art, taxi, deli, skater, breaker, baracchini di hot dog, shopping, modelle e tutto quello che vi viene in mente sulla Grande Mela. E poi Aloe Blacc che canta and if I share with you my story/ would you share a dollar with me è la cosa più americana che esista.
GREEK (La fine del mondo – s02 e22)
Temper Trap – Sweed Disposition [2009]
“Sweet disposition” sembra fatta apposta per un finale di puntata come il seguente; ha la giusta pretesa di profondità per andare d’accordo con “Greek”, la serie sulle confraternite popolate da ragazzi affannati e confusi.
Così su un tetto, mentre la festa della fine del mondo va avanti, un ragazzo capisce tutto della propria vita e delle ragazze, o forse è solo la birra. Un classico momento di ingenua rivelazione che vivi solo al college e se lo vivi dopo è un problema, perchè non hai più l’ingenuità di credere che esso sia plausibile. O peggio, che i Temper Trap siano davvero generazionali.
Contributors: Enrico Amendola, Giuseppe De Luca, Claudia Durastanti, Matteo Giobbi, Mirko “Mik” Jacono, Sara Marzullo, Emanuele Rauco, Hamilton Santià