Negli ultimi otto anni mi sono coricato di buonora. Qualche volta, appena spenta la candela, gli occhi mi si chiudevano così in fretta che non avevo il tempo di dire a me stesso: Quando uscirà  un nuovo disco dei Daft Punk ?

Impossibile non sapere chi siano i Daft Punk, così come è impossibile non aver mai ascoltato almeno un brano del duo francese. Perchè Guy-Manuel de Homen Christo e Thomas Bangalter hanno rivoluzionato la musica elettronica e perchè hanno incassato royalties faraoniche associando molti loro brani a campagne pubblicitarie di enorme richiamo. “Random Access Memory” era molto atteso, di più, era il disco più atteso dell’anno e loro lo sapevano così hanno centellinato notizie e anticipazioni per eccitare un mondo musicale dal fiato cortissimo, quello stesso mondo che li ama e li odia perchè piacciono moltissimo e vendono moltissimo, sono influenti e sfacciatamente bravi a piacere, vendere e influenzare. Loro fanno ciò che vogliono e noi comuni mortali li aspettiamo in messianica attesa, per amarli e odiarli. Fanno pochi dischi i Daft Punk e questo è per me un merito grandissimo, oltre che l’ennesima riprova del loro talento nell’usare i media e nel capire come funziona la società . Fanno sempre dischi diversi, anche perchè lasciano passare parecchio tempo, e così riescono sempre a spiazzare gli ascoltatori.

Con questo album hanno fatto lo stesso, un gruppo nutrito di ospiti di lusso per imbastire un lavoro autoreferenziale e languido, direi pure romantico se non fossi imbarazzato dall’immagine che hanno deciso di dare di loro stessi. Un disco pop in tutto e per tutto, dal numero di pezzi cantati, alla struttura della sequenza di brani e dei brani stessi. In fondo la cosa non dovrebbe stupire più di tanto: i Daft Punk hanno deciso di essere oscuri solo per quanto riguarda la loro esposizione personale. Per quanto riguarda la musica non si sono mai sottratti alle trovate più potabili possibili, una musica che colpisse i cuori e smuovesse i culi. Oggi ci presentano un disco che è il loro album dei ricordi, tra vecchi leoni della dance e musicisti dell’ultima generazione. In questo modo ci mostrano anche quali sono i loro gusti e noi non possiamo che essere d’accordo e apprezzare alla grande. Tirano fuori il pacco madeleine e ci invitano a strafogarci con loro, ecco perchè Marcel Proust, senza alcun ritegno. Qui il tempo perduto non va assaporato lentamente, va ingollato in grande quantità  per poi chiederne ancora.

L’iniziale “Give life back to music” con la partecipazione di Nile Rogers rende subito chiaro che il viaggio di quella che sembrerebbe una nuova Discovery in realtà  si fermerà  alla balera dietro l’angolo. Il clima è disteso, rilassato, paraculo all’ennesima potenza, perfetto. Un ottimo brano di chiusura messo come incipit. Da questo si capisce che ci sarà  da godere parecchio. “The game of love” rallenta ulteriormente i tempi e rende un clima di languore che non sarebbe dispiaciuto a Serge Gainsbourg. L’atmosfera da amor profano viene intervallato dal tributo a quello che in tutto si può considerare padre della dance e quindi anche del duo francese: Giorgio Moroder che si racconta mentre una musica da figli delle stelle ci regala le prime impennate di “Ram”. Un brano filologicamente perfetto per riportare alle atmosfere di quei tempi felici  e spensierati, di sci-fi e poliziotteschi, dove si poteva fare senza che nessuno ti dicesse come, la disco tedesca come stella polare e, di nuovo, la balera italica come porto delle nebbie. Le collaborazioni con Gonzales e Julian Casablancas qui in versione Frou Frou) riportano i cuori a battere e lo zucchero a fluire. In mezzo al gorgo di sentimenti forti esce fuori da anni di dimenticanza il compositore premio Oscar nel 1976, Paul Williams che canta in “Touch”, brano interessante quanto deviante, in uno stile che associa Scott Walker e le sigle dei vecchi programmi televisivi. Orchestre e lounge, vocoder e leggerezza, sono gli ingredienti che più di tutti i Daft Punk hanno usato per fare un disco che non stravolge, non scapiglia al primo ascolto. Non fa gridare al miracolo, al genio e meno male, che di geni per un giorno sono pieni gli scaffali di casa dei miei genitori. “Random Access Memory”, passatista fin dal titolo, è il disco che avrebbe potuto fare chiunque, quello che “se non l’avessero fatto i Daft Punk” nessuno si sarebbe inculato”.

Tutto possibile ma sfido chiunque a fare un disco così e in ogni caso abbiamo davanti 5-6 anni per poter cambiare idea mille volte e soprattutto controllare in che direzione si muoverà  la dance da qui al 2020. Io scommetterei che con i ragazzi avremo parecchio a che fare.