Il secondo giorno si apre con la mia prima e unica sortita all’Auditori. In altri giorni e altri orari infatti decido, senza troppo pensarci, di “‘tagliare’ i vari Apparat, Daniel Johnston, Cristopher Owens, concedendomi la comodità  delle poltroncine solo per assistere a Mulatu Astatke e la sua orchestra. Immerso in finissimi groove jazz il “‘maestro’ ci delizia con i suoi celestiali assoli di vibrafono. Qualcuno dorme (dura la vita del “‘darsi un tono’ a tutti i costi), tanti assistono in estasiato e rigoroso silenzio.

Qualche minuto prima della fine scivolo fuori dalla sala direzione Heineken stage. Arrivo giusto in tempo per vedere Kurt Vile prendere posto sul palco. Nonostante l’orario (siamo ancora in tardo pomeriggio) e soprattutto nonostante il forte vento e freddo, con i quali si dovrà  convivere per tutta la giornata, troviamo già  una buona presenza di pubblico in attesa dell’americano. Vile a dispetto delle (mie) attese tira fuori un set più “‘rilassato’, intriso di sognante psichedelia lo-fi, tutt’altra cosa rispetto all’apparizione distorta e “‘rumorosa’ di due anni fa, stesso parco, diverso palco. Le sensazioni vanno di pari passo con quelle suscitate dal recente ottimo “Wakin On A Pretty Daze”, questo Kurt Vile meno istintivo ci convince in pieno.

Raccogliamo ottime vibrazioni anche dal successivo live-act dei Django Django. Il ‘pastiche’ sonoro del quartetto scozzese è cosa ben nota a tutti coloro (non pochi) hanno apprezzato il loro recente debutto anche dalle nostre parti: electro pop-rock, tropicalia e guizzi “‘morriconiani’, psichedelia. Infreddoliti come mai avremmo pensato non ci fa male smuovere culi e gambe e quindi “‘bravi e belli questi Djanghi’ !!!

Matthew E White mi offre invece l’occasione di “‘visitare’ per la prima volta quest’anno, il palco Vice, stage tra i più nascosti e quindi più “‘raccolti’ dell’intero Parc Del Forum.
Il barbuto cantautore lascia a casa le coriste eliminando di fatto quasi totalmente la componente gospel che in gran parte ha fatto le fortune del suo primo ed unico disco. Ma niente paura, il ragazzone della Virginia e la sua band ripagano al meglio le nostre aspettative, con un ottimo set elettrico. Folk-rock e blues prendono il sopravvento, le canzoni brillano di una nuova luce. Piacevolissima sorpresa.

Al vicino Pitchfork faccio in tempo a buttare un occhio a Solange. Platea strapiena, soul & funk trascinanti, il “‘gene Beyoncè‘ è una garanzia. Ci si diverte, ci piace.

Il 20% di presenze in più rispetto allo scorso anno, dichiarato dallo stesso Primavera, è palpabile. Me ne accorgo mio malgrado in occasione del live dei Daughter. Qui l’efficiente macchina organizzativa deve aver fatto un errore di valutazione. Elena e i suoi, considerati forse ancora realtà  emergente, vengono fatti esibire al Vice, palco tra i più piccoli dell’intero Parco. Arrivo con diversi minuti di anticipo e trovo già  il delirio. Impossibile avanzare, vedo a mala pena il palco, ovviamente l’acustica è pessima. Purtroppo i Daughter, live-act tanto atteso, devo archiviarli con uno sconsolato “‘N.G.’.

Scottati dall’esperienza Vice ci muoviamo con un certo anticipo per occupare posizioni migliori al live più atteso della giornata . Anche qui non sembriamo gli unici ad aver avuto quest’idea. Manca più di mezz’ora al main event di questo Primavera e già  il Palco dell’Heineken è gremito. Conquistata una posizione accettabile ci gustiamo la sorpresa Wedding Present. Gli scozzesi appaiono come per magia sulle tribunette laterali, eseguono tre brani e salutano. Fantastico aperitivo ad Albarn e soci.

I Blur, dal vivo, ti danno esattamente quello che ti aspetti se sei cresciuto a ‘pane e brit’. Il più emozionante dei salti indietro nel tempo a quando eri “‘pischello’ e i 4 di Londra segnavano con la loro musica gran parte delle tue giornate, il delirio di massa consumato sotto i colpi di ‘bombe’ senza tempo, la pelle d’oca e le braccia al cielo a scandire ogni singola nota di ballate capaci di innescarti un’infinità  di emozioni ora, domani, tra vent’anni, il più stonato dei ‘sing along’ urlato come se non ci fosse un domani. I Blur entrano di diritto nella categoria “‘gruppo della vita’ (uno dei pochi ancora in circolazione) e se la vita in questione è la tua un loro concerto rimarrà  impresso nella tua mente tra le esperienze più belle.

L’ultimo spostamento della giornata ci avvicina all’uscita. Il Primavera Stage è “‘teatro’, parola usata non a caso vista la perfomance alla quale assisteremo da lì a poco, dei The Knife. La partenza è incoraggiante. Immersi in un atmosfera tetra e notturna un collettivo di musicisti incappucciati introduce il live con il capolavoro dark-ambient “A Cherry On Top”. Ci prepariamo a grandi cose, invece “… Per la successiva ora di live il palco viene occupato da una compagnia di ballo che su basi registrate si scatena in una danza infinita. Playback e balletto, infiniti, mi fiondo nella schiera (a quanto pare folta) di coloro i quali non riescono a capire il significato dell’esibizione dei fratelli Dreijer. Abbandono allora questa seconda giornata con la consapevolezza di aver appena assistito alla più grande delusione dell’intero festival.

Foto © Eric Pà mies