Sembrava quasi che gli Yuck con l’abbandono del loro leader nonchè fondatore Daniel Blumberg fossero destinati a metter da parte i propri strumenti e a lasciare in sospeso quanto di buono avevano fatto con il sorprendente omonimo album di debutto. Invece dopo oltre di due anni di silenzi tornano quasi a sorpresa intenti nel cercare di affermarsi tra le band indierock ‘retroguardiste’ di nuova generazione.

L’addio di Blumberg non rappresenta tuttavia l’unica novità . Ecco infatti che tra le stratificazioni di chitarre cartavetrate spuntano inediti e imprevisti fiati (“Memorial Fields”, “Middle Sea”, “How Does It Feel”) che, andando a pescare direttamente dal patrimonio sonoro dei Belle and Sebastian e dall’opera ultima firmata dai bentornati Pastels, riescono a dare al ruvido suono dei quattro di Londra un confortevole senso di calore. Altra curiosità  è rappresentata dalle due tracce del tutto strumentali: “Sunrise In Maple Shade” brano di apertura che sembra avere il compito di andare a creare la giusta atmosfera per l’ascolto e “Chinese Cymbalsin” che ci lascia sospesi prima del saluto finale datoci da “Glow and Behold” (tributo al britpop dei sopracitati Belle and Sebastian e dei Blur più armoniosi). Non mancano comunque le certezze, quelle chitarre ruvide dal nostalgico sapore 90s che contraddistinguono le distorte “Middle Sea”, “Out of Time” e “Lose My Breath” e che si portano appresso il ghigno compiacevole dei ‘patrigni’ Dinosaur Jr. e Sonic Youth, e alcuni momenti più compassati (“Nothing New” e “How Does It Feel”, ballate acustiche in cui organi i fiati danno un retrogusto a-la Beatles, o il melanconismo elettrico di “Somewhere”).
I cambiamenti in questo caso riescono a sopperire alle partenze.. in nome dei 90s che furono.