Ogni album dei Wooden Shjips somiglia a un viaggio. Uno di quelli in cui si sa quando si parte ma la destinazione e il momento del ritorno non sono altrettanto certi nè prevedibili. Un’avventura di quelle vere, da affrontare con la mente aperta e le orecchie dritte, attente, pronte a cogliere ogni variazione di percorso, ogni bivio, ogni deviazione inattesa da esplorare con coraggio.

“Back To Land”, con quella copertina-omaggio a “Led Zeppelin III”, è un disco diverso dal passato per Omar Ahsanuddin, Dusty Jermier, Nash Whalen e Erik “Ripley” Johnson. Ispirato dalla natura di Portland (Oregon), dove Johnson e Ahsanuddin si sono trasferiti di recente e non dall’urgenza metropolitana delle strade di San Francisco. Il gusto del quartetto per la psichedelia è sempre lo stesso, ma il modo con cui affrontano le canzoni è cambiato. I toni garage dei primi tempi hanno lasciato il posto a una morbidezza nuova, una rotondità  di suono, una vulnerabilità  finora inedita, molto lontana dal sound tagliente e impetuoso del precedente (e ottimo) “West”.

L’organo di “Back To Land”, “Ghouls” e “Ruins” che pompa come sangue nelle vene mai così rosso, le chitarre di “Servants” che gonfiano le vele come i venti migliori e sanno all’occorrenza anche pungere e graffiare. La batteria che incalza gentile ma decisa in “In The Roses” e il sole che fa capolino tra gli strumenti sorprendentemente acustici che introducono “These Shadows”, illuminando la strada di casa. La rumorosa, malinconica melodia à  la Velvet Underground di “Everybody Knows”, una “Other Stars” che ricorda l’esperienza di Johnson con i Moon Duo e sembra arrivare dritta dritta dallo spazio profondo. E’ un ritorno solido e intenso quello del quartetto americano, difficile da etichettare come sempre ma più vicino alle sonorità  dei giapponesini Les Rallizes Denudes, alla compattezza dei Crazy Horse, che al raw power degli Stooges.

Marinai provetti abituati ai pericoli e alle onde alte del vasto mare psichedelico, i Wooden Shjips approdano sulla terraferma con quel capogiro nella testa e quell’instabilità  nel passo e nel cuore che colpisce solo chi ha tanto viaggiato e oltre alla stanchezza e alla salsedine tra i capelli ha molte cose da raccontare e storie da scrivere. “Back To Land” dopo un bel po’ di tempo passato a orientarsi con le stelle, dimostrano ancora una volta di avere la stoffa per essere i veri classici di domani.