Undici tracce per sapere cosa vuol dire trasformare l’incubo della guerra in un marchio rivoluzionario dove la musica tradizionale porta con sè rabbia, dolore e partecipazione collettiva. Dai campi militari libici alla fuga verso un destino diverso, un cammino necessario che perdura e contamina la loro vita, un movimento quasi dissonante che qui contraddistingue il rock tuareg da qualsiasi altro canone occidentale. Ma i Tinariwen hanno saputo osare sotto tutti i punti di vista (del resto lo si può capire attraversando la loro discografia) e con “Emmar” si apprestano a rimodulare un codice dai confini sempre meno etichettabili. Questo accade specialmente perchè il mix di alchimie arabe e africane si mescola sapientemente alle radici di uno stesso popolo che in America ha dato vita alla tradizione blues. Comprendere il senso di una simile attività in vita dalla metà degli anni ’90, significa soprattutto consegnarsi ad un impianto stilistico saldo e attento alla sua riproducibilità . L’idea di fondo è ancorata ad un archetipo sonoro, la musica tuareg, osservata da diverse prospettive: difatti è proprio la multiculturalità l’elemento che descrive l’insieme nella sua omogeneità .
“Toumas Tincha” apre il disco con sonorità molto cupe, l’invito è quello di addentrarsi nel difficile percorso di questa band attraverso una danza della solitudine che spinge alla riflessione: una pace imposta con la forza è destinata a fallire e ad accrescere l’odio. Con “Chaghaybou” ci si ritrova immediatamente circondati dalla tipica struttura imperniata sul mantra ritmico quasi ossessivo, mentre altra nota di merito va per “Imadiwanin Ahi Tifhamam” che segna l’entrata di un ospite internazionale del calibro di Fats Kaplin in grado di creare nuove atmosfere ipnotiche dal fascino instancabile.
Come già nel precedente “Tassili” si è ripetuta la collaborazione con i chitarristi Josh Klinghoffer dei RHCP e Matt Sweeney, il poeta Saul Williams, un attitudine musicale d’apertura che si percepisce fisicamente durante l’ascolto. Le melodie di “Koud Edhaz Emin” e “Sendad Eghlagan” rievocano quasi nostalgia, la ricerca della pace e della libertà del resto conferiscono ad ogni brano il senso di una traccia che si stampa sul deserto. E se il Mali diventa impraticabile per la sua pericolosità , i Tinariwen non si arrendono e registrano l’album direttamente in live negli immensi spazi di Joshua Tree, nel Nord della California. Un set rivoluzionario accompagnato da una forza e una coscienza interiore, decisamente non trascurabile, trascinano questo gruppo verso la coralità tipica delle grandi band che esportano ancora oggi una produzione varia, un incrocio dalle frontiere sempre aperte. Il consiglio è di mettersi in viaggio con “Emmaar” per provare un’esperienza davvero unica.
2. Chaghaybou
3. Arhegh Danagh
4. Timadrit In Sahara
5. Imidiwan Ahi Sigdim
6. Tahalamot
7. Sendad Eghlalan
8. Imdiwanin ahi Tifhamam
9. Koud Edhaz Emin
10. Emajer
11. Aghregh Medin